Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Durante uno sciopero dei giocatori di basket negli Usa, il procuratore di un giovane talento si dà da fare per migliorare la posizione contrattuale del suo assistito, ottenendo però l’effetto opposto.
Se non conoscete a menadito il basket statunitense, lasciate perdere questo film: non fa per voi. E fra voi c’è anche chi scrive, naturalmente. Le pecche sostanziali di High flying bird sono però altre, non solo i riferimenti eccessivamente stretti alla realtà dell’NBA e di quanto gli sta attorno; la sceneggiatura di Tarell Alvin McCraney infatti vive di scene statiche e dialoghi verbosi, quasi sempre con due personaggi alla volta. In tal modo l’azione nel film è pressoché abolita (di pallone se ne vede pochissimo, e sempre in secondo piano) e l’effetto complessivo è quello di aver visto una sequela di discussioni fra personaggi tra loro legati in vario modo, con uno sviluppo narrativo in levare, concretamente nascosto, celato alle spalle dei protagonisti e delle loro più o meno rilevanti chiacchierate. Alla base di tutto c’è presumibilmente la smania produttiva di Steven Soderbergh, regista che licenzia tranquillamente due o tre lavori all’anno: forse soffermandosi un attimo sul copione e ampliandolo, levigandolo, dandogli maggior respiro, High flying bird sarebbe potuto diventare un film più spendibile presso il grande pubblico. Da segnalare, oltre alla presenza di Kyle MacLachlan in un ruolo laterale, che il lavoro è stato girato interamente con un iPhone: il secondo tentativo da parte di Soderbergh, dopo Unsane (2018), ma questa volta i limiti del mezzo un po’ traspaiono. 3,5/10.
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