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Our Lady of Paris

Regia di Valérie Donzelli vedi scheda film

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La recensione su Our Lady of Paris

di alan smithee
6 stelle

CINEMA OLTRECONFINE
Il vivere tra i tentacoli della caotica e meccanica modernità è da sempre una "guerra dichiarata", e il cinema bizzarro, isterico ma anche un po' positivo di Valerie Donzelli cerca di farci riflettere da tempo a questo proposito.
Questa volta la volitiva Valerie impersona l'architetto Maud Crayon (un cognome che non fa una piega quanto a coerenza col lavoro in questione), una quarantenne separata madre di due adolescenti svegli ed un po' inquieti, moglie separata di un bislacco fanfarone e viziato ((lo impersona il simpatico Thomas Scimeca, nuovamente impegnato in un personaggio eccentrico e un po' folle, ormai prerogativa irrinunciabile per il simpatico attore) che la donna si ritrova ad accudire dopo che lui è stato lasciato dalla nuova compagna.
Al lavoro Maud è sottomessa, assieme ai colleghi-zerbino (tra questi un insolitamente adorabile Bouli Lanners), ad un capo autoritario e piuttosto inconcludente, per nulla disposto a valorizzare la donna quanto merita.

Impegnata a lanciare un proprio progetto personale che la vede competere per l'assegnazione di un milionario progetto di riqualificazione della piazza antistante la chiesa di Notre Dame a Parigi, la donna si vedrà prescelta sulla spietata concorrenza a seguito di una notte particolarmente favorevole e magica.
Ma la soddisfazione di essere riuscita a spuntarla, svanirà presto quando l'opinione pubblica, mal interpretando alcune linee avveniristiche del progetto, assoceranno la forma bizzarra dell'apparato portante a quella di un enorme fallo, suscitando per lo più sentimenti di indignazione diffusa. La situazione si complica quando Maud si scopre nuovamente incinta, e quando sulle orma della donna si insinua un ambizioso e poliedrico giornalista (l'affascinante Pierre Deladonchamps), innamorato della bella architetta, e disposto a seguirla nell'appassionato sentiero tortuoso che costella la sua irrefrenabile quotidianità.

Ne deriva una commedia scatenata quasi d'altri tempi, che la Donzelli riesce quasi sempre a dominare con la verve ed il ritmo che già le riconoscevamo tra i pregi più evidenti.
Una verve che non rinnega una certa comicità fisica e rilancia l'ossessione dello schiaffo come atto di riflessione che induce la vittima del gesto a rimettere finalmente in discussione certi dogmi che, prima del ceffone (violento e sferzato all' improvviso alla maniera di Moretti), parevano cementati come verità indiscutibili.
Ne scaturiscono scenette assai divertenti, che il nutrito cast riesce a gestire nel rispetto dei tempi veloci della commedia pazzerella e leggera, ma che non rinuncia a sferzanti spunti di riflessione, maturi e pressanti, sulla deviata quotidianità isterica che finisce per dominarci e renderci spesso più assurdi e involontariamente comici di quanto si possa sospettare. 
  
 
 
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