Regia di Tim Story vedi scheda film
Oggi, recensiamo Shaft, film diretto da Tim Story (I Fantastici 4) e interpretato da un torreggiante, al solito carismatico Samuel L. Jackson in forte spolvero.
Il quale, permetteteci il gioco verbale, più che uno spolverino... indossa un impermeabile, anzi una giacca sfavillante a mo’ di mantello che l’ammanta di maggiore aura attrattiva, sintomatica della sua intramontabile allure statuaria.
Samuel L. Jackson che qui riprende il suo iconico ruolo del celeberrimo detective privato di New York già da lui portato sullo schermo nel 2000 nell’omonimo Shaft di John Singleton con Christian Bale.
Personaggio storico a sua volta imparentato, essendone il nipote, col mitico John Shaft incarnato da Richard Roundtree in Shaft il detective di Gordon Parks del ‘71 e nei suoi tanti seguiti, inclusa una celebre serie televisiva di enorme successo, soprattutto in patria.
Roundtree che, in tale Shaft di Tim Story, compare in una particina, ovvero nella parte di John Shaft Sr Quindi, a differenza dello Shaft di Singleton, ove interpretò di cammeo il ruolo dello zio di Samuel L. Jackson, qui ne è il padre.
In un gioco iper-citazionistico di strepitoso ammiccamento cinefilo. Molti critici, infatti, per non creare confusione con l’originale, col succitato remake di Singleton, coi tanti sequel del suo antesignano-progenitore e via dicendo, l’hanno personalmente ribattezzato Shaft 2019.
Facciamo dunque chiarezza.
Lo Shaft da noi preso in esame, rilasciato da Netflix il 28 Giugno scorso, non ha nessuna sorta di sottotitolo numerico, diciamo.
Il suo vero titolo è, appunto, Shaft e basta.
Questa la trama:
JJ Shaft, ovvero John Shaft Jr. (Jessie T. Usher), dunque il figlio di Shaft (Samuel L. Jackson) si rivolge proprio a suo padre Shaft per risolvere assieme a lui la morte sospetta del suo miglior amico di nome Karim (Avan Jogia).
Le istituzioni, infatti, hanno semplicemente liquidato la sua morte, dichiarando sbrigativamente che Karim è deceduto in seguito a un’overdose letale. Stigmatizzandolo come ragazzo problematico crepato a causa dei suoi brutti giri e della sua incurabile addiction.
La verità purtroppo, come avrete facilmente intuito, non è assolutamente questa.
Dietro la morte del migliore amico di JJ Shaft si nasconde un losco giro d’imbrogli, sotterfugi e oscure macchinazioni.
Ebbene, affermiamo immediatamente che questo Shaft non è un sicuramente un film memorabile, niente di che, a essere sinceri. Un film che, qualitativamente parlando, rispecchia piuttosto appieno la mediocre media recensoria affibbiatagli da metacritic.com, vale a dire un poco soddisfacente, perlomeno appena sufficiente 40% di critiche positive.
Diciamo altresì che è un film d’intrattenimento puro che scorre alla grandissima, appassionandoci con scanzonata leggerezza pur sorreggendosi quasi esclusivamente sulla consueta forza interpretativa e sulla verve irresistibile dell’immarcescibile Samuel L. Jackson.
Il quale, a settant’anni suonati, 71 il prossimo, non tanto lontano ventun Dicembre, malgrado un po’ di visibile pancetta, come si diceva un tempo, si porta sulle spalle tutto il peso del film, salvandolo dalla sua sceneggiatura alquanto imbarazzante in più punti, piena zeppa di battute scontate sul sesso, assai prevedibile e fin troppo lineare nei suoi sviluppi narrativi.
Grazie infatti alla sua prodigiosa, immutabile gagliardezza coriacea, grazie alla sua personalità travolgente e trascinante, Shaft diventa così un film a suo modo imperdibile.
Che, comunque, a dirla tutta ha anche qualche spunto notevole, a prescindere dall’interpretazione di Jackson.
Poiché, sebbene modaiolo e platinato, recupera bene certe suggestioni da Blaxploitation tipiche degli anni settanta, immergendoci in atmosfere notturne visivamente molto affascinanti.
Nel cast anche Regina Hall.
di Stefano Falotico
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