Regia di Bani Khoshnoudi vedi scheda film
Com’è difficile essere stranieri: Ramin (all’inizio non lo sappiamo...) è fuggito dal suo paese, portandosi sulla schiena le cicatrici del carcere di Teheran. E’ montato su una nave convinto di andare verso l’Europa, ma si è ritrovato in Messico, a Veracruz (che oggi come oggi, vedasi le cronache “dei flussi”, non è proprio una Terra Promessa...), con pochi soldi e nessun mestiere che sappia fare. Solo rimpiange qualcosa di ciò che ha lasciato (un fidanzato dello stesso sesso, ma all’inizio non lo sappiamo...), e vorrebbe montare di nuovo su una nave per poterci tornare almeno vicino.
E com’è difficile per tutti, anche per chi a Veracruz ci si ritrova per sfuggire alla mafia traditrice e violenta (lo scaltro amico Guillermo emigrato dall’Honduras in cerca dell’America, o il Canada, magari), difficile anche per chi a Veracruz ci è nato: la dolcissima Leti, padrona della piccola pensione dove alloggia Ramin, la quale, perduta nel rimpianto di una relazione fallita, vive una vita modesta e dignitosa assieme ad uno zio perennemente incollato alla televisione, appoggiata alle sue piccole cose: la sorella del suo ex fidanzato, l’ebrezza lieve di un saltuario Danzòn, le serate a ballare con gli amici senza far tardi.
Eppure sarebbe facile, come quando il vecchio zio si rivolge all’ospite chiamandolo Ramòn. Ecco: basta una cosa semplice, piccola, immediata: cambiare una vocale, una “o” al posto di una “i” e diventi uno di casa, uno col nome più messicano che esista, uno di noi.
Film di migranti e di “diversi”, condito con la dignitosa disperazione tipica degli ultimi. Un film a suo modo di forte tensione: il destino di Ramin costantemente appeso ad un filo, così ben sottolineato da sonorità che sono quasi più un rumore che musica; le difficoltà a comunicare per via della lingua non dissimulate da un doppiaggio bugiardo e falsante; una ambiente ammantato di caldo soltanto atmosferico, dove invece domina il gelo delle incertezze, delle precarietà, di un futuro che sfugge sempre lontano, magari correndo all’indietro; e una sfilata di Carnevale, nel pre-finale, che diventa metafora del tutto.
Bella prova della regista iraniana Bani Khoshnoudi per un film che per le sale del nostro paese resterà per sempre “straniero”. D’altra parte “Primaglitaliani!” è lo slogan del momento, no?
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