Regia di Teona Strugar Mitevska vedi scheda film
Torino Film Festival 37 – Teona Strugar Mitevska.
A forza di vedersi negata una chance per uscire dall’anonimato e soddisfare le proprie impellenze, anche un’anima pia - fondamentalmente innocua e disinteressata a ogni qualsivoglia forma di scontro - finisce per farla fuori dal vaso e andare a rompere le uova di un paniere in cui chiunque non sia espressamente ammesso tra i convitati non può permettersi di mettere becco.
Nella maggior parte dei casi, questi individui appartengono alle categorie considerate svantaggiate, quantunque il più delle volte questa definizione sia semplicemente da ascrivere al pensiero di chi la affibbia e non riconducibile a un acclarato e insormontabile deficit.
L’unica via per estirpare convinzioni di questo tipo consta nell’attaccarle frontalmente, mettendo da parte ogni esitazione al fine di ristabilire una sacrosanta equità.
Petrunya (Zorica Nusheva) è una donna di trentadue anni, disoccupata cronica data l’inutilità pratica della sua laurea in Storia, ignorata dagli uomini e, più in generale, invisibile a qualsiasi forma di premura altrui.
Di punto in bianco, questo status muta radicalmente quando, durante la cerimonia annuale in cui i soli uomini devono gettarsi nel fiume locale per recuperare una croce di legno, è proprio lei ad impossessarsi dell’ambito trofeo.
Questa sua azione scatenerà il caos, anche perché Petrunya non ha alcuna intenzione di riconsegnare la croce e nessuno può fare altro che impartirle dei miti consigli, benché la polizia, gli organi religiosi e sua madre pratichino ogni mezzo disponibile per convincerla a tornare sui suoi passi.
Solo una giornalista (Labina Mitevska) la fiancheggia, un po’ perché la notizia cattura l’audience, un po’ in quanto intuisce la portata sociale di questo atto.
La lingua batte dove il dente duole.
Soprattutto all’interno di realtà ancorate a concezioni arcaiche, alcune regole tramandate di generazione in generazione sono considerate immutabili, prese da sempre come dogmi inviolabili. Chiunque provi a cambiare le carte in tavola, finisce per ritrovarsi assediato, spinto a ritrarre la mano, all’occorrenza passando alle maniere forti.
In Dio è donna e si chiama Petrunya, la colpevole di lesa maestà nei confronti di una società a conduzione patriarcale è una ragazza insospettabile, mai presa in considerazione da alcuno se non per infierire con provocazioni e offese.
Proprio questa eterna condizione di svantaggio, accoppiata a un evento poco più che fortuito, stravolge ogni cosa. Finalmente Petrunya si scopre visibile, addirittura al centro dell’attenzione, non ha niente da perdere, per la prima volta decide di andare in fondo, di trasformare un gesto simbolico in una conquista più ampia, un passo verso l’acquisizione di una parità dei diritti mai nemmeno discussa.
La regista Teona Strugar Mitevska redige un manifesto di lotta e non teme la reazione piccata di chi si è sempre ritrovato in una posizione privilegiata. Prende per i fondelli i luoghi comuni, ricorda che in uno Stato di diritto carta canta e che i veri problemi albergano altrove, per quanto gli uomini, svuotati di una parte del loro potere, non pensino ad altro che riconquistarlo, accecati, sordi e disumanamente violenti come un branco di zombie.
Pertanto, l’operazione è accattivante e riesce in pieno nel suo intento di denuncia. Questo traguardo è raggiunto anche grazie a un profilo satirico, ricco di particolari e caratterizzazioni, polemico con spirito ironico. Elementi che vanno a completare un ritratto femminile originale, rammentando quanto sia fondamentale lottare senza retrocedere di un metro qualora si sia realmente intenzionati a sanare le ingiustizie radicatesi per colpa di disparità secolari, sperequazioni che oggi non hanno più alcun motivo di esistere. D’altronde, il Medioevo è andato in archivio da un pezzo.
Caparbio e ventilato.
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