Trama
Ogni 19 gennaio, durante l'Epifania in Macedonia, ha luogo una cerimonia unica nel suo genere: un sommo sacerdote lancia una croce di legno nelle acque locali e centinaia di uomini la cercano. Chi la trova è benedetto per tutto l'anno e diviene una specie di eroe. Petrunya è una donna single di 31 anni disoccupata ed è una storica che vive ancora con i genitori. Tornando a casa da un colloquio fallito, assiste alla cerimonia e vi prende parte, trovando la croce. In breve, la sua esperienza diviene virale su internet ma segna anche l'inizio del suo personalissimo calvario di 24 ore contro gli uomini, il mondo e il sistema in genere.
Approfondimento
DIO È DONNA E SI CHIAMA PETRUNYA: UN FILM FEMMINISTA
Diretto da Teona Strugar Mitevska e sceneggiato dallo stessa con Elma Tataragic, Dio è donna e si chiama Petrunya è ambientato a Stip, una piccola città della Macedonia, dove ogni anno nel mese di gennaio il prete del posto lancia una croce di legno nel fiume e centinaia di uomini si tuffano per ritrovarla. Buona sorte e prosperità, secondo la tradizione, accompagneranno colui che la recupera. Diversamente dagli anni precedenti, la giovane Petrunya decide di tuffarsi per capriccio nelle acque e riesce a mettere per prima le mani sulla croce. Gli altri partecipanti alla tradizione vanno allora su tutte le furie: come osa una donna partecipare al loro rituale secolare? Si scatena così un inferno senza precedenti a cui Petrunya è chiamata a far fronte: del resto, ha preso la croce e non si arrenderà davanti a nulla.
Con la direzione della fotografia di Virginie Saint-Martin, le scenografie di Vuk Mitevski, i costumi di Monika Lorber e le musiche di Olivier Samouillan, Dio è donna e si chiama Petrunya viene così raccontato dalla regista in occasione della presentazione in concorso al Festival di Berlino 2019: "Ogni 19 gennaio, giorno per la Chiesa orientale della festa dell'Epifania, in tutto il mondo ortodosso dell'Europa dell'Est si svolge il tradizionale lancio della croce. Nel 2014 a Stip, in Macedonia, una donna è riuscita, sfidando la concorrenza maschile, a prendere la croce ma il suo atto è stato considerato un oltraggio sia dai concittadini sia dalle autorità religiose. Questo perché nessuna donna è autorizzata a partecipare all'evento. Di conseguenza, hanno cercato di portarle via la croce ma lei non si è arresa: il giorno dopo ha persino rilasciato un'intervista a un'emittente locale in cui incoraggiava le donne a prendere negli anni successivi parte alla manifestazione. Per tutti, era pazza o disturbata mentalmente. Secondo il mio punto di vista, la storia mette in luce in maniera naturale quanto conformismo sociale e misoginia vi siano all'interno della nostra società ancora attaccata a vetuste norme patriarcali. La vicenda è desolante ed esasperante: il volerla raccontare è una sorta di reazione spontanea alla frustrazione che ha generato in me e nella produttrice Labina Mitevska".
"Dio è donna e si chiama Petrunya è allora un film femminista? Tutte le società patriarcali - ha proseguito la regista - si fondano sulla dominazione maschile. Lo status sociale delle donne e la posizione che occupano sono decisi dall'uomo. Ecco perché ogni volta che si racconta una storia incentrata sul cosiddetto sesso debole inevitabilmente si parla di film femminista. Ogni film con una donna protagonista o no che tratta di un argomento non conforme alla tradizionale suddivisione dei ruoli è un film femminista. Per me, è difficile pensare di essere donna e di non essere femminista. Il femminismo non è una malattia o qualcosa di cui aver paura. Uguaglianza, giustizia ed equità sono alla base della sua ideologia e non sono solo riservate alle donne".
"Dio è donna e si chiama Petrunya è anche un film che oppone modernità a tradizione", ha concluso la Mitevska. "Se la storia fosse stata ambientata in un ufficio, tutto sarebbe più facile da comprendere. Ha luogo invece nell'ambiente conservatore di una piccola città macedone e tutto è più complicato. Petrunya è il simbolo della modernità e si oppone non a una ma a due roccaforti della tradizione: la Chiesa e lo Stato. Impotente di fronte a entrambe, spera che a salvarla sia la sua educazione e formazione. Non so come tradizione e modernità possano convivere o quale posto occuperà in futuro la tradizione, non ho risposte. Mi chiedo però quale ruolo la tradizione occupi o occuperà nel ridefinire il posto che spetta alle donne".
Il cast
A dirigere Dio è donna e si chiama Petrunya è Teona Strugar Mitevska, regista macedone. Nata a Skopje nel 1974 in una famiglia di artisti, ha iniziato a recitare da bambina prima di dedicarsi alla pittura e al disegno. Dopo aver frequentato la Tisch School of Arts a New York, ha diretto nel 2004 il suo primo… Vedi tutto
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Commenti (6) vedi tutti
Girato in modo leggero, ma con dentro un messaggio dalla straordinaria forza e intensità. Bravissima la protagonista. Davvero consigliato.
commento di silviodifedeLa protagonista non mostra vittimismo,ma chi lo guarda sa trarre le dovute conclusioni sulle condizioni della donna in Macedonia.
commento di ezioTeona Strugar Mitevska è nata in Jugoslavia oggi Macedonia ma è di formazione cinematografica completamente statunitense. Sarebbe bello se il cinema raccontasse la vita ed i problemi dei vari paesi attraverso chi vi appartiene anche culturalmente.
commento di bombo1Bisogna averne fatta di strada per diventare così coglioni da non avere ancora capito che non ci sono poteri buoni. (da De André) Beh? Chi ve l'ha fatto fare di nascere donne? (mio)
leggi la recensione completa di articolotreDenuncia molto ferma non solo dell’ingiustizia e della discriminazione sessista, ma della ferocia profonda e quasi animalesca con la quale la popolazione maschile della Macedonia, sostenuta dai politici più conservatori e da una chiesa priva di coraggio innovativo continua a difendere ostinatamente i propri miserabili privilegi.
leggi la recensione completa di laulillaNon é un film femminista. E' un film sulla mancanza di equità nei diritti e nei doveri che scandiscono le bieche vite dell'essere umano; in questo caso uomo e donna, in una collocazione puramente asiatica cioè russa. Ma andrebbe bene anche lo Zimbawe, perchè questa non solo è una storia universale, ma anche temporalmente indenne dai cambiamenti.
leggi la recensione completa di gaiart