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Amistad

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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Fanny Sally

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La recensione su Amistad

di Fanny Sally
7 stelle

I cinquanta prigionieri di una nave negriera spagnola diretta a Cuba riescono a liberarsi e ad assumere il comando, uccidendo l’equipaggio, ma, una volta approdati erroneamente sulle coste del Nord America, vengono catturati e sottoposti ad un processo che diventa un caso politico internazionale, mettendo in discussione diritto, etica, giustizia. Il giovane avvocato Roger Sherman Baldwin, incoraggiato da un partito abolizionista, accetta il ruolo di difensore degli Africani Mende accusati di omicidio, dovendosi scontrare tanto con l’incomprensione degli schiavi, quanto con l’ostilità di parte dell’opinione pubblica e dello stesso governo che intende mantenere buoni rapporti con la Spagna.

 

Steven Spielberg affronta uno dei temi cari alla sua filmografia, ovvero la denuncia del razzismo e delle discriminazioni (Il colore viola, Schindler's List, Munich e il più recente Lincoln), unendo storia, impegno sociale, spettacolo e sentimento, in un apologo dei valori umanistici di libertà, uguaglianza e indipendenza, contro gli orrori dello schiavismo e la falsità delle leggi. La vicenda, ispirata con alcuni rimaneggiamenti a fatti realmente accaduti, è ambientata nel 1839 negli Stati Uniti già multirazziali e apparentemente progressisti, agitati in realtà al loro interno da correnti politiche e culturali contrastanti che sarebbero sfociate di lì a poco nella lunga guerra civile, il cui spettro è appena palpabile nelle malcelate rivalità tra i deputati del Congresso.

In effetti la risoluzione positiva del caso, salvo un epilogo amaro per i protagonisti al loro ritorno in patria, rimanda un’immagine abbastanza distorta del clima sociale in cui si trovava l’America del periodo, in cui la schiavitù e le disuguaglianze in linea di massima erano abbastanza tollerate, anzi costituivano quasi la normalità.

Tralasciate queste incongruenze, la regia precisa e scenografica di Spielberg riesce a intrattenere nonostante la lunghezza e la verbosità di certi passaggi, e ad emozionare nei momenti più drammatici senza ricadere in patetismi, pur con qualche retorica, grazie ad una sceneggiatura ben calibrata che accenna anche qualche briciola di ironia nel confronto tra le distanti culture degli Americani e dei Mende e all’ottima prestazione degli attori, tra i quali troneggia un eccelso Anthony Hopkins, meritatamente candidato all’oscar nel ruolo dell’ex presidente John Quincy Adams, modesto politico ma esperto uomo di legge, che ebbe un ruolo cruciale nella vicenda. Convincente anche la prova di un ancora sconosciuto Matthew McConaughey, che recita accanto al sempre impeccabile Morgan Freeman e ad un defilato Stellan Skarsgård.

 

Intenso e appassionante, ma indicato soprattutto a chi ama film di genere storico in cui il dialogo prevale sull’azione.

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