Regia di David Fincher vedi scheda film
Il facoltoso Nicholas Van Orton in occasione del suo 48° compleanno riceve uno strano regalo dal bizzarro fratello Conrad: una tessera del CRS, società che organizza un gioco di ruolo molto “realistico”.
La mano del giovane ma già determinato David Fincher forgia una sceneggiatura complessa ed autentica in cui il cortocircuito tra vita reale e gioco di ruolo s’intersecano come in un anello di Moebius, finendo per divenire la stessa cosa. Una metafora del cinema, una grossa Candid Camera, seppur pericolosa e tendenzialmente degenerativa, che nel finale diviene un metafilm dichiarato, confermato dagli attori intenti a consumare il “cestino” durante una pausa pranzo; il “game” organizzato dalla CRS e commissionato da Conrad per l’annoiato e metodico fratello Nicholas è un gioco, esclusivamente per avventori possidenti , che ha lo scopo di spezzare la noia di una vita “non cinematografica” nel senso più spettacolaristico del termine, accettando al buio possibili colpi di scena, comprese le potenzialmente letali derive masochistiche di un simulacro della settima arte. Non un film da guardare sullo schermo, non un’esperienza virtuale, né tantomeno uno spettacolo in 3D; ma “semplicemente” un set cinematografico, immenso e tutt’abbracciante, capace di regalare un’esperienza unica ed irripetibile a chi, economicamente, può permetterselo.
Il semi-esordiente David Fincher realizza un film che, col senno di poi, è un manifesto alla sua poetica cinematografica, una sua dichiarazione d’intenti di come il cinema, nella fattispecie quello thriller, deve essere: una sacrale venerazione per l’immagine e la sua celebrazione, quella già manifestata magnificamente in “Seven” e che troverà in “Fight club” il suo zenit.
Grande prova degli attori: con 2 pose Sean Penn buca lo schermo (la scena dell’ultimo, terribile atto di recitazione, con la bottiglia di champagne in mano e lo smoking bianco, è da annali!); Michael Douglas sta nel suo ruolo come il cacio sui maccheroni: un nuovo Gordon Gekko a cui Fincher ha l’ardire di sconvolgere la leggendaria acconciatura, eredità scomoda di papà Kirk (i capelli cotonati stanno a Douglas in maniera così sistematica che, privato del leggendario ciuffo, l’attore in alcune scene è quasi irriconoscibile).
Un film che esce dai soliti clichè, grazie al soggetto originalissimo, alla sceneggiatura coinvolgente ed appassionante ed alla prova attoriale di qualità e con cui Fincher entra di prepotenza nel gotha degli autori degni di tale nome, grazie ad una poetica di valore e già riconoscibilissima.
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