Regia di Daniele Ciprì, Franco Maresco vedi scheda film
Tre operette (a)morali sulla degenerazione dell'uomo moderno: la repressione sessuale, compressa dalla castrazione psicologica (e non solo) della religione, che esplode in un silenzioso grido di rivolta atto a sottrarsi dal giogo di un'esistenza brutale ed indifferente, ma che è destinato ad essere messo a tacere dal Potere (che coi salvatori di anime è sempre andato a braccetto), tanto che la vita animale torna leopardianamente ad apparire ben più equilibrata; l'amore come anticamera dell'ossessione, intercalato fra i due argini di avidità che costituiscono l'involucro di tutta una vita (di cui l'odio non è che il naturale collante), infine consegnata alle fauci divoratrici di creature infime (i ratti, gli uomini...); la salvezza e la dannazione, il bene ed il male, il sacrificio e l'opportunismo, tutto rappresentato come un unico blocco di tessuto (esilarante) continuamente intento a specchiarsi ed a tentare di autodistruggersi, tradito dall'ignoranza, consegnato ai secoli dal fraintendimento, ucciso dalla propria natura nebulosa. Il referente principale è certamente Pasolini, soprattutto quello de La ricotta (però abbondano citazioni più o meno volontarie anche a Il vangelo secondo Matteo, a Porcile ed alla Trilogia della Vita), condito da spolverate dell'ultimo Bunuel, di Jodorowsky, di Ferreri e perché no, dello Scola di Brutti, sporchi e cattivi. Ma in realtà dentro ci si può trovare un po' di tutto: incursioni psicohorrorifiche in stile Begotten o Eraserhead, Tetsuo, La notte dei morti viventi, Jesus Christ Superstar, The Rocky Pictures Show, e probabilmente molto altro. Certo Ciprì e Maresco (per lo meno in quest'opera) non sono paragonabili a nessuno dei precedenti (non alla maggior parte di loro comunque), non ne hanno né il gusto, né la forza, né tanto meno le capacità visive ed espressive. È difficile ragionare al condizionale, ma ho la sensazione che questo sia uno di quei casi in cui si è avuta una sorta di promozione al rovescio: non avendo ottenuto il visto censura, ci si è sentiti (giustamente) in dovere di difenderlo anche con lodi sperticate francamente fuori luogo. Un film dichiaratamente sperimentale (dunque interessante in un panorama cinematografico italiano povero come quello dell'epoca e di oggi) ma altrettanto palesemente inzeppato di tanti, troppi riferimenti ad altre opere, che oscilla fra mille generi e mille toni senza riuscire perfettamente ad amalgamarli tutti, e che si perde eccessivamente nella macchinosità dei suoi simbolismi.
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