Regia di Daniele Ciprì, Franco Maresco vedi scheda film
Parto deforme e contemporaneamente perfetto nella concezione estetica e potentissimo nei contenuti, il secondo lungometraggio dei geniali Ciprì e Maresco diventò un caso clamoroso per la storia del cinema italiano e l'ulteriore consacrazione del talento innovatore dei due palermitani, tra le personalità artistiche più importanti del panorama internazionale (a mio modesto parere, ma non solo).
Totò che visse due volte è una sintesi radicale ed estrema delle concezioni di Pasolini e Bunuel, che incorpora una disperazione assoluta nella sua grottesca carica umoristica, caustica, dalla risata tragica e assurda. Il loro mondo essenziale, scheletro del mondo esteriore corroso dall'acido, è un'incisione espressionisticamente tardo medievale, solcata dalla durezza dei bianchi e neri, dalla compostezza formale scaturita da esseri al contrario deformi, sfatti, volgari, violenti, dementi, ignoranti, subnormali (sudnormali), irrazionali, famelici, ottusi, insensibili. La purezza dell'immagine sposata all'abiezione raggiunge livelli di tragicità inebetita e "minimalista", metafora destinata all'incomprensione e al fraintendimento da parte di un pubblico ingenuo, impreparato, spesso prevenuto, superficiale.
Una condizione morale estrema non può che essere comunicata con espressioni radicali, tanto nella forma (antinarrativa ma pregna di simbologie) che nel contenuto, mirate alla presa di petto di ciò che non vogliamo vedere, alla riflessione paradossale, invito super partes, destinato a tutti senza distinzioni. Anche e soprattutto con l'arma squarciante dell'ironia macabra e fulminante, o della musica che, per contrasto (che sia leggera e banale o drammaticamente nobile), parla direttamente all'intimo della natura ancora rimasta umana. 10
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