Regia di Daniele Ciprì, Franco Maresco vedi scheda film
Partendo dallo spunto della “Ricotta” di Pasolini, portato alle sue estreme conseguenze, intrecciandolo con il Buñuel più disposto a giocare sul confine tra sacro e blasfemia (quello che tortuosamente corre dall’ “Age d’or” a “Nazarin”, fino a “Viridiana” e “Simon del deserto”), Ciprì e Maresco hanno allestito un film assolutamente folle, che contiene alcune delle loro pagine più geniali, che scaturiscono dall’accentuazione dei particolari più laidi, turpi ed abbietti che mai sia stato dato di vedere sullo schermo cinematografico. Da capolavoro del surrealismo è l’ultimo segmento (semplicemente denominato III), quello in cui l’anziano boss mafioso Don Totò fa squagliare nell’acido il suo nemico Lazzaro, che sarà resuscitato dall’anziano, nonché incazzoso e sboccatissimo messia Totò. Il quale sarà perseguitato dal boss (i due personaggi sono interpretati dal medesimo attore, Salvatore Gattuso), poiché il redivivo Lazzaro, anziché essere grato per la nuova vita, va mietendo vittime tra coloro che lo uccisero, al grido di “vendetta!”. E mentre il nuovo Gesù Cristo finisce a sua volta squagliato nell’acido, sulla croce, tra i protagonisti dei primi due episodi del film, anziché il figlio di Dio, ci finisce un demente che ha appena tentato di stuprare una statua della Madonna. Questo film, che ha il merito di avere fatto scomparire la censura (che l’aveva preventivamente sequestrato) in Italia, è, a mio parere, geniale: solo per citare un episodio, quando, durante l’ultima cena, Giuda bacia il Maestro, questi, rivolgendosi a Pietro, esclama “ma è diventato frocio?”.
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