Regia di Timothy Woodward Jr. vedi scheda film
Horror convenzionale ma ben realizzato. Sorta di Wishmaster più curato e molto bene interpretato. Diretto con mestiere da un abile regista, che è però costretto a confrontarsi con un soggetto piuttosto scontato.
Prologo: la giovane Lynette (Spencer Locke) in tarda serata rientra a casa, solo per scoprire con orrore che il padre ha massacrato la moglie.
Chicago: Aaron (Michael Welch), nel tentativo di affermarsi come avvocato, sopravvive di espedienti, sperando in colloqui di lavoro che sempre finiscono negativamente. In debito di tremila dollari -per affitto non pagato- viene malamente cacciato di casa. Non gli resta che tornare al paese di Jackson (Missisipi), ospite della madre Kate (Lyn Shaye), solo per trovare l'anziano genitore sempre più depresso a causa della perdita del marito. Per entrare in possesso di soldi, Aaron intende svendere gli oggetti di antiquariato, frutto dell'attività paterna. Tra questi, conserva però una vecchia urna. Da quel momento le cose cominciano ad essergli favorevoli, in tutti i sensi: muore il cane che ha sempre odiato; vince cinquemila dollari al gratta e vinci; dopo un grave incidente, ne esce comunque senza alcuna conseguenza estetica; vede finalmente la madre sorridere, dopo un inatteso recupero psicologico; infine, trova la corrispondenza affettiva della graziosa Lisa (Melissa Bolona) nonostante questa sia fidanzata con Derek (Kaiwi Lyman), il manesco sceriffo locale. Presto, però, Aaron capirà da cosa è dato questo inaspettato giro di fortuna. L'urna che conserva in camera è un antico manufatto iracheno, ceduto al padre dall'archeologo Williams... il genitore -uxoricida- di Lynette.
Timothy Woodward Jr. è un regista con all'attivo svariati lavori, in particolare polar, gangster e western (Hickok ad esempio). Ma non sorprende, dato il discreto risultato ottenuto con questo The final wish, che in passato abbia diretto anche un paio di horror (7 faces of Jack the ripper e Gnome alone). Qui si trova a lavorare su una sceneggiatura (scritta a più mani da altri) piuttosto convenzionale, incentrata sul classico tema male affrontato nel ciclo Wishmaster: una antica entità diabolica della Mesopotamia, nota come Jinn, tenta di fare esprimere -inizialmente realizzandoli- sette desideri al possessore del manufatto (urna o vaso) per finalità non certo benevole.
Nonostante la banalità del soggetto, Woodward ha a disposizione un cast di rilievo (eccezionale Lyn Shaye, qui madre bipolare con inattesi scatti d'umore, già volto legato alla serie The conjuring) e un ottimo direttore della fotografia. Sono questi elementi, abbinati ad una regia convenzionale ma efficace, che donano al film un surplus rispetto a più modesti ed analoghi titoli (Wish upon ad esempio). Certo, di ingredienti estremi nemmeno a parlarne: i nudi sono inesistenti e la violenza è bandita dallo schermo. Anche se di certo effetto è la metamorfosi del Jinn tentatore che assume, in una suggestiva sequenza, gli aspetti di vari personaggi per poi mostrarsi nella reale forma demoniaca.
Se vedendo il film si prova una certa sensazione di déjà-vu non deve sorprendere: l'esperto di artefatti antichi a cui si rivolgono Lisa e Aaron è Tony Todd (Candyman, Final destination), mentre la casa utilizzata per le riprese è la stessa di Annabelle 2: creation (2017). Non solo, Lin Shaye e Spencer Locke erano entrambe presenti anche in Insidious: the last key (2018). The final wish recupera punti in particolare per un finale alternativo (aperto ad un sequel), frutto della tragica attuazione del settimo desiderio. Distribuito negli USA a fine gennaio del 2019 (dopo un'anteprima al Screamfest Horror Film Festival) si tratta del classico titolo destinato ad un ampio pubblico, che -ne siamo quasi certi- arriverà di sicuro anche nelle sale italiane (probabilmente in estate).
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