Regia di Arnaud Desplechin vedi scheda film
A Roubaix, un incendio, e in realtà non solo quello. Desplechin torna al suo luogo di nascita, già esplorato svariate volte tra Conte de Noel e Trois souvenirs de ma jeunesse (per dirne due), volendo assumere stavolta un aplomb più analitico ed entomologico, cioè valutando in maniera meno spigliata o romantica del solito una situazione che è statisticamente vera: Roubaix è una delle località più povere delle Francia, e pienissima di criminalità. Incendi, furti, omicidi, fughe di minorenni, i reati non si contano sulle dita di due mani, e su altrettante (infinite) direzioni devono muoversi i commissari di polizia, qui in particolare Roschdy Zem e Antoine Reinartz, il primo detective ben navigato appassionato di cavalli, e il secondo novellino che deve ancora scoprire il luogo. Il film si dimena fra personaggi, esplorazioni dei luoghi del crimine e interrogatori dei più svariati finché la sottotrama che coinvolge Léa Seydoux e Sara Forestier non prende il sopravvento, come a ricordarsi che le vere star coinvolte nel film sono loro. Seguono estenuanti interrogatori e ricostruzioni del crimine per arrivare a una verità che Desplechin fortunatamente ha il gusto di non enfatizzare come in un qualunque finale di un qualunque banale giallo. Il suo racconto è sempre intimo anche quando distaccato, e i movimenti di camera, discreti e funzionali al dramma, sono come scolpiti dalle musiche di Grégoire Hetzel. Il problema risiede nell'anonimato dell'operazione, pregna di luoghi comuni del polar da banlieu a cui siamo abituati da tempo e in cui non si scorge l'animosità della regia e del montaggio che ci hanno sempre reso Desplechin regista ben distinguibile, benché classico, nel cinema contemporaneo. Vada pure che sia tutto più asciutto allo scopo di far assumere al film connotati semi-documentaristici, quasi come in un reportage; ma la passione e il dolore che muovono i personaggi si percepiscono solo in rapidi e furtivi frangenti, e mai come sorgenti tensionali dell'azione. Ovviamente - non avremmo potuto aspettarci altrimenti - nessun personaggio è idealizzato e nessun personaggio è buono o cattivo, la problematicità di ogni situazione è il primo interesse per la regia. Saranno le aspettative, sarà il confronto coi suoi film precedenti, ma tanta diplomazia senza esagerazioni, così severa e replicabile, ce la saremmo aspettata da un Olivier Marchal qualunque, o da un Cédric Anger, insomma da un mestierante ben navigato. Non da Arnaud Desplechin.
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