Regia di Marco Castaldi vedi scheda film
Giacomo è disperato, vorrebbe scomparire. Il caso gliene dà l'occasione. Ma produrrà l'effetto contrario.
Può succedere di tutto. Il caso innesca la vicenda, il malinteso fa partire la slavina. Nell’era dei social e dei selfie l’evoluzione è accelerata, l’avventatezza fa il resto, il caos è assicurato. La vita, per Giacomo, è divenuta una faccenda paradossale: da quando ha perso il lavoro, fantasia e menzogna si rincorrono, intorno a lui, fuori e dentro casa. È la premessa per un impazzimento che può prendere avvio da qualunque evento, anche il più insignificante, come restare chiuso dentro il bagno di un cinema di periferia, a causa di una chiave spezzata nella serratura. L’idea folle è quella di fermare il tempo: non fare nulla per rimediare all’inconveniente, restare immobili lì dove ci si trova. Forse questa è la formula magica in grado di far svanire, d’un colpo, tutto ciò da cui Giacomo sta cercando disperatamente di fuggire: un creditore aggressivo, un matrimonio in crisi, un amico che gli dà solo consigli impraticabili. Se non c’è più lui, al centro del vortice, questo, non avendo più un centro intorno a cui girare, finirà magari per dissolversi. In realtà nel nostro universo spietatamente e costantemente connesso non esiste modo di rifugiarsi nell’invisibilità. Nemmeno la toilette di un locale in semiabbandono è un nascondiglio efficace. Tutti vorranno accorrere sul posto per poter testimoniare, fotografare, riprendere, per esserci. E qualcuno vorrà utilizzare il mistero insondabile che si cela dietro una porta per inventare, in tutta libertà, la storia che più gli piace, la verità che più gli fa comodo. La circolazione delle informazioni nella rete globale è ormai una multiforme proiezione di sogni ed incubi, timori e desideri. Un qualunque scorcio di news si presta come un segno adattabile alle esigenze di ognuno: dalle teorie dei complotti alle rivendicazioni socioeconomiche, nulla rimane privo di significato, tutto ha il suo peso e il suo colore ideologico, secondo tante accezioni diverse. È la moderna rivisitazione del tradizionale tessuto della commedia degli equivoci, solo che, questa volta, la soluzione non c’è, non arriva la rivelazione finale, la matassa si avvolge per il semplice gusto di farlo, perché ciò serve a sentirsi vivi, a far parte di una comunità. Nulla è giusto o sbagliato, reale o immaginario, tutto ha uguale valore, nella misura in cui si offre come strumento di espressione individuale o collettiva, omologante o alternativa. È questo principio a rendere attraente la trama informe e tremendamente sfilacciata di questo film, tratto dal romanzo Se son rose di Massimo Vitali. Ogni quisquilia, anche involontaria, è buona per produrre rumore, per far girare il mondo, non importa come, purché si metta in moto e trascini tutti con sé. La coralità esce dalla dimensione popolare della tribù che intona all’unisono le proprie usanze o convinzioni morali per trasformarsi in un bazar cosmopolita in cui ognuno decanta la propria mercanzia, in concorrenza con gli altri. La massa è un composto disordinato di personaggi allo sbando, in cerca non di un autore, ma di un pezzo da scrivere su di sé, per aspirare alla fama. Non è questo, però, ciò a cui puntava Giacomo. La sua chimera era una solitudine definitiva e impossibile, messa subito in forse dall’inopinata compagnia di un cane affetto da crisi esistenziale. In questo racconto, arruffato e randagio è l’inizio, ed è ancora di più lo è il seguito, via via che la scena si popola di nuovi oggetti e soggetti, di contenuti alla rinfusa e arbitrarie riletture. L’efficacia narrativa non ne soffre: il cammino, pur essendo disseminato di trovate un po' indigeste, tra lo stereotipato e il bislacco, è gradevolmente scorrevole. La brillante interpretazione dei protagonisti, potente ma mai sopra le righe, riporta ogni stravaganza nel solco dell’ironia, che sorride con amarezza, e quindi seriamente sorride.
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