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Era una notte buia e tempestosa, quando nell'ospedale di un piccolo paese del Nord Italia, una donna non più giovanissima partorisce il piccolo Oscar, bimbetto come tanti altri non fosse per un piccolo particolare: il neonato pare non essere condizionato dagli effetti della gravità, tanto che, appena fuoriuscito dal grembo materno, già tende a librarsi nell'aria, trattenuto dal solo cordone ombelicale ancora in attesa di essere reciso.
Sconvolta dalla circostanza, accompagnata dalla decisa e temeraria anziana madre che tutto vorrebbe, fuorché il suo nipote, di padre completamente ignoto, divenisse lo zimbello della zona, la donna fugge dall'ospedale e si barrica in casa, ove il piccolo verrà gelosamente custodito nella massima riservatezza.
Ma il tempo passa, e gli step obbligati che inducono il bimbo a frequentare luoghi pubblici (in perenne presenza di uno zaino rosa che ne esclude la presa in volo) come la scuola, favoriranno la scelta della madre di spostarsi in luoghi ancora più remoti o poco accessibili.
Da ragazzo, Oscar finirà inesorabilmente per rivelarsi al mondo, diventando una sorta di fenomeno da baraccone anche grazie all'intervento molesto di una televisione invadente e grossolana e degl altri socials non meno pressanti e indisponenti, alla mercé di un agente senza scrupoli che gli darà fama e ricchezza, senza tuttavia garantirgli un attimo di quella felicità che il ragazzo ricordava come elemento costante della propria infanzia da bambino recluso.
Concentrato a riflettere sulla tematica non nuova, ma spinosa della difficoltà di gestire la propria diversità dinanzi ad un mondo famelico di sensazionalismo, e proteso ad usare e gettare nel dimenticatoio i fenomeni di massa che esso crea e poi distrugge a semplice piacimento di una folla sempre più distratta e superficiale, il film di Marco Bonfanti si dimostra tuttavia povero di fattura e di stile, e zoppicante nella narrazione un po' frammentaria e dimessa.
Certo l'impegno di Elio Germano (afflitto per l'occasione da un tremendo make up che ha il suo apice a causa di un ridicolo parrucchino ringiovanente), nell'affrontare un personaggio così insolito e rischioso, appare almeno lodevole, così come di livello risulta la prova della sempre brava Michela Cescon nel ruolo della amorevole e un po' dimessa genitrice: circostanze che aiutano solo in parte a salvare dall'imbarazzo di certe situazioni in cui incorre la vicenda, che vede tra gli interpreti, anche la presenza, un po' maldestra e mal giostrata, della altrove bravissima Elena Cotta, qui impegnata nel ruolo bizzarro della nonna energica e decisionista.
Ma il film non si può dire mai convincente nella sua parabola un po' meccanica e un po' consolatoria verso cui la vicenda finisce per impantanarsi senza rimedio.
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