Regia di Gavin O'Connor vedi scheda film
Recensione seria e classica, poi quella goliardica
Oggi vi parliamo di Tornare a vincere (The Way Back, da non confondere con l’omonimo titolo originale del film di Peter Weir con Colin Farrell e Ed Harris), diretto da Gavin O’Connor (Warrior) e interpretato da un Ben Affleck sorprendentemente in splendida forma attoriale.
Ebbene, dopo aver lavorato assieme in The Accountant, O’Connor e Affleck hanno ricongiunto le forze per questo film forse non eccelso ma certamente appassionante e commovente.
Il film è uscito dapprima regolarmente negli States il 6 Marzo dell’anno in corso ma, a causa del nefasto e imprevisto Covid-19 che ha portato forzatamente alla chiusura (speriamo momentanea) dei cinema, la Warner Bros. Italia ha dunque optato per un’immediata distribuzione in streaming. Cosicché, dallo scorso 23 Aprile, Tornare a vincere è disponibile alla visione sui nostri piccoli schermi attraverso molteplici piattaforme digitali. Ed è acquistabile e/o noleggiabile perfino tramite YouTube.
Ovviamente, opportunamente sottotitolato in italiano nel caso non foste dei puristi e amaste invece il doppiaggio nella nostra lingua.
Questa la trama di Tornare a vincere, film della consistente durata di 108 min:
Jack Cunnigham (Ben Affleck) è stato un irripetibile asso del basket e una giovanissima promessa del liceo. Malgrado avesse ricevuto un’invidiabile borsa di studio che gli avrebbe garantito un futuro brillantemente più spianato, Jack, per fare un torto a suo padre che odiò a morte, decise di abbandonare tutto.
Perdendo inoltre suo figlio, morto tragicamente, e venendo abbandonato dalla sua donna di nome Angela (Janina Gavankar).
Al che, malgrado abbia rimediato un modestissimo lavoro come operaio pur di sbarcare il lunario, comincia a trascorrere le sue pigre e mortificanti giornate in totale solitudine, ubriacandosi a morte e iniziando, in maniera sempre più preoccupante, a trascurare innanzitutto ogni amor proprio. Dunque, il suo ex parroco, memore dei suoi fenomenali trascorsi da campione della pallacanestro, gli propone di allenare la squadra giovanile della sua circoscrizione. All’inizio, Jack appare poco convinto di questa allettante ma al contempo impegnativa proposta lavorativa. Ma, dopo un’ennesima sua notte insonne di sbronze e di tormentosi pensieri malinconici, il giorno dopo si reca nella palestra della parrocchia. Grintosamente mosso da un intimo, profondo senso di rivincita atto sia a sconfiggere i suoi atavici demoni interiori angoscianti che a donare coraggio alle grandi speranze di ragazzi difficili che stanno vivendo un’età problematica e assai complessa qual è l’adolescenza. Riconoscendosi forse in loro, in questo suo personalissimo, esistenziale tempo ritrovato, Jack, pur con molte difficoltà e alcuni duri scontri nei confronti non solo dei suoi subalterni inappuntabilmente religiosi ma soprattutto conflittuali nei riguardi della sua anima oramai scissasi fra una pericolosa, tediosa lascivia e una nuova, euforica potenza vitalistica, riesce a portare la sua squadra miracolosamente ai play-off.
A questo punto, per quanto concerne la trama, ci fermiamo qui per non rivelarvi altro. Poiché se sino a questo momento, il film, nonostante molti attimi toccanti e poetici, potrebbe apparire comunque piuttosto in linea coi canovacci delle classiche già viste vicende di caduta e redenzione, di resurrezione, moralistica miserabilità e pietistica agonizzante, forsanche “agonistica”, enfatica, sì, sportiva e retorica, palesandosi perciò inevitabilmente patetico, in virtù d’un paio di snodi narrativi niente male, forse soltanto leggermente, paradossalmente inverosimili e inaspettati, vista per l’appunto la linearità di una trama molto convenzionale e hollywoodianamente standardizzata, il regista riesce ugualmente a stupirci, evitando nell’ultima mezz’ora le dolciastre, deleterie e insopportabili trappole tipiche di questo genere di film.
Tesi cioè ad emozionare lo spettatore, arruffianandoselo nel circuirlo in maniera furbetta, utilizzando la carta facile del pathos più programmatico e di maniera.
Vale a dire quella che astutamente scatena l’identificativo processo empatico fra lo spettatore e il suo sfortunato attore protagonista con lo scontato espediente della scaltrissima, eppur sempre emozionalmente efficace arma, per l’appunto, della piaggeria melodrammatica.
Tornare a vincere però, a dispetto di ciò, funziona e lascia il segno.
Innanzitutto poiché risulta davvero un progetto attoriale vivamente sentito da un Affleck che pare che abbia chiesto a O’Connor di scrivergli la parte su misura. Infatti, come sappiamo, non di rado Affleck, negli ultimi anni, è caduto in acuta depressione ed è stato svariate volte ricoverato per disintossicarsi dall’alcol.
Nella specularità visceralmente innescatasi fra il suo personaggio della finzione e i suoi recenti problemi reali, Affleck, vivendo con toccante entusiasmo il suo incarnato Jack Cunningham, ha sfoderato un’assai lodevole prova d’attore.
Coinvolgente e, cinematograficamente e non, di grande sensibilità e apprezzabile valore.
Ebbene, ho dovuto pagare 4,99 Euro per vedere questo film su YouTube. Peraltro in definizione non a 1080p. La Warner Bros, infatti, a causa del Covid-19, optò per una distribuzione in streaming su varie piattaforme, fra cui l’appena sopra menzionatovi Tubo.
Se preferite, rivolgetevi a Chili. Non con carne ma pagando un po’ di più. Ecco, Ben Affleck in questo film appare sovrappeso. Anzi, non sembra con qualche chilo in più, lo è. Ma l’ingrassamento non fu dovuto al fatto che si recò da Burger King, bensì alle sue recenti crisi depressive che lo indussero, anziché ad ingozzarsi di bacon, pur sviluppando una pancetta notevole, ben meno piatta di quella di carne magrissima esibita dal protagonista di Footloose, a essere ricoverato a causa del suo sprofondamento nel vizio alcolico più smodato. Palliativo e alibi di natura poco etica ma etilica per compensare i vuoti interiori di Ben indottigli dalle troppe donne che gli gravitarono attorno e ancora lo distraggono dalla recitazione. Dunque, psicologicamente lo distruggono e lo deturpano nell’animo.
Gwyneth Paltrow, una che ora vende i prodotti vaginali, Jennifer Lopez, una capace col suo fondoschiena assicurato di dirti... levati di culo se la tua performance a letto non è da Armageddon, Jennifer Garner, una che Affleck sposò e lo rovinò. Sì, l’amore è più cieco di Daredevil, film per cui Ben e la Garner si conobbero e a Ben mal ne sortì. Ah, malasorte o forse “mala sorca”. Tant’è che, secondo me, la Garner già lo tradì sul set di Dallas Buyers Club con un Matthew McConaughey, stallone da rodeo, probabilmente ammalatosi di HIV dopo aver fatto all’amore con Jennifer. Una che non sarebbe coniugalmente affidabile neanche se avesse come amante un redivivo Freddie Mercury. E ho detto tutto.
Ben Affleck, qui, ritorna a recitare seriamente. Facendosi perdonare da tante scelte sbagliate, professionalmente parlando e non solo, anche per l’appunto sentimentali, che giocoforza fuorviarono la sua brillante carriera inizialmente ben avviata. Ovviamente, Ben fu benissimo avviato, quindi si svitò, fu svitato ed è forse oggi riavvitato. Anche ravvivato. Vinse l’Academy Award per la sceneggiatura di Will Hunting.
Oserei dire che fu rivitalizzato e non è ancora del tutto naufragato e appesantitosi bolsamente in modo irrecuperabilmente restaurabile.
Tornare a vincere è dunque un film ricalcato da Gavin O’Connor sul percorso autobiografico del Ben dell’ultima decade. Decennio che lo vide vincere l’Oscar per Argo, indossare i panni di Batman, cimentarsi alla regia con ottimi risultati, svilendosi però al contempo nei suoi vitali slanci più esuberanti.
Ben non credette più alla sua Generazione X e al Dogma di Kevin Smith. Perdendo la verve sua congenita da marpione un po’ sanamente porcellone. Intristendosi nella melanconia più arida. Insomma, non si diede più delle arie e divenne serioso al massimo. Così serioso da farsi crescere la barba da uomo trascurato quasi barbone trasandato.
Si narra nel film della storia di Jack Cunningham, promessa della pallacanestro, cioè indiscusso campione di basket e studente modello che, in seguito a fortissime delusioni ricevute, dopo tanti microtraumi emotivi giammai superati, fra cui la separazione dalla sua amata e la perdita tragica del figlio, vivacchia alla giornata, bevendo come una spugna in modo smodato. E fa anche il maleducato!
Al che, dal suo parroco preferito, gli viene chiesto di tornare in campo, metaforicamente e agonisticamente parlando. Affinché alleni un gruppo di scalcagnati teenager amanti forse del Michael Jordan che fu. Jack, dopo una nottataccia trascorsa, come al solito, a ubriacarsi esageratamente, accetta, seppur inizialmente riluttante, la proposta di salvezza, potremmo dire, offertagli in sacrificio? No, a redenzione santificante ogni suo peccato passato. Chissà se imperdonabile. Veniale, volontario o, come detto, consequenziale alla sua indole propriamente non impeccabile.
Cosicché, quest’uomo smarritosi, dentro rottosi, stancatosi forse di traviarsi o di essere fregato dal mondo ingrato, quest’uomo assai fottuto e spacciato, vilipeso in modo screanzato, decide con coraggio di vincere la sua sconfitta esistenziale, comunque già irreparabilmente avvenuta, vivificandosi nel donare alle giovani speranze il sogno di una vittoria scacciapensieri. Rilluminando sé stesso con le pupille lucide dalla commozione e spronando i suoi pupilli all’azione e alla reazione. Loro che vivono un’età problematica e piena di complicazioni. Fatta di angherie, bullismi, prevaricazioni, vite programmate da genitori tromboni che li vogliono, non solo nello sport, amabili campioni e futuri, noiosi dottori dei nostri stivali. Che coglioni fintamente sapientoni!
Jack ce la farà nella sua missione o sarà soltanto una passeggera, inafferrabile seppur magnifica illusione l’aver ottenuto, probabilmente non la grazia, ma la giusta gratificazione? Otterrà, cioè, la sua purificazione?
Il titolo originale di Tornare a vincere è The Way Back. Lo stesso dell’identico, per l’appunto, film di Peter Weir con Colin Farrell e Ed Harris. Attenzione, ignorantoni da istruire e alfabetizzare con le mie severe lezioni di grammatica e di vita, dopo la e di congiunzione, se un nome proprio (e non) inizia conl’ed eufonica, non voglio leggere roba come ed Ed Norton, attore non de L’attimo fuggente, bensì de La 25ª ora. You understand?!
Ah, quante ne vidi nella mia vita da ex calciatore. Adolescenti che ironizzarono sul mio essere più dotato, negli spogliatoi, rispetto ai loro pulcini microcefalici e sottosviluppati. Rispettate!
Vidi adulti pure adulterini, solamente però all’anagrafe e agli atti “puri” non cornuti o forse sì, inveire sui ragazzi disoccupati, urlando solo loro di crescere e di adattarsi ché la vita è dura per tutti e dunque bisogna esigere, anche erigere, regole fascistiche. Alcuni, non sopportando queste cape toste, mal digerendo queste illecite, ricevute batoste, respingendo i maltrattamenti arbitrari a loro imposti, finirono in rehab e furono sedati. Luoghi riabilitativi non per alcolizzati cronici come Ben/Cunningham, bensì centri di salute mentale per assumere psicofarmaci su pasticche Chrono. Ah, basta con le persone pietistiche ma anche con gli stronzi. E che cristo! Vidi alcuni di questi soccombere dinanzi alle ingiustizie poiché, invalidati dai medicinali troppo debilitanti, non riuscendo più a rimettersi in carreggiata, elemosinarono compassione in maniera patetica. Chiedendo allo Stato l’assistenza sociale o credendo alla Chiesa. Vidi anche uno con la prosa di David Foster Wallace distruggere l’intero apparato psichiatrico, sputtanando tutto il sistema con un libro disponibile su Amazon e Ibs.it. Acquistabile anche su Libreria universitaria online, ovvero Dopo la morte. Costui è uno “sfigato”, un emarginato, un pasoliniano, un ghezziano preso in giro perché scrive perfino noir erotici scabrosi eppur veritieri, addirittura scritti meglio rispetto ai romanzi di Umberto Eco. Uno che, in piena notte, è capace di fare mille flessioni senza accusare la fatica. Che dite? Ce la fate ora a distruggerlo o cominciate davvero a perdere la partita?
Eh sì, dovreste dire la verità ai vostri figli. Non mentendo più a voi stessi riguardo le vostre porcate coperte dalla maschera di ciò che chiamate dignità. Foste frequentatori dell’alcolisti anonimi perché brutti, psicopatici e impotenti. Al che trovaste una racchia che vi catechizzò, obbligandovi a iscrivervi a un serale di qualche scuola magistrale-pedagogica poiché, non essendo cagata da nessuno, almeno volle accanto a sé un demente col diploma per potersi spacciare per educatrice intellettuale. Contenti ora? Che dite? Ne avete prese abbastanza o ne volete di più? Andate a costituirvi, malfattori, diseducatori e criminali idioti. Non vorrei che, dopo il 25 Aprile, Festa della Liberazione ma anche compleanno di Al Pacino, vi svegliaste con una testa di cavallo insanguinata nel letto come nel Padrino.
Soprattutto, non fatemi incazzare come Walt Kowalski di Gran Torino.
Intanto passeggiando... me ne fotto! E molte soddisfazioni vado intascando, dando soddisfazione a chi merita il mio scopandola. Non sono un maestrino che vuole dare lezioni ma esigo l’erezione poiché, rierto, spingo ancora di ottima prestazione. Come quella di Pen’, no, di Ben.
di Stefano Falotico
di Stefano Falotico
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