Regia di Xaver Xylophon vedi scheda film
Beh, insomma... proviamo ad andare per gradi, partendo dal basso.
- Il messaggio. Per fortuna nessuno, almeno spero: l’Amore che vince la Morte sarebbe esagerato. diciamo che il messaggio potrebbe essere “divertìmose un po’”.
- Il regista. E’ uno pseudo giovane, classe 1985. Da quando un italo ministrone diede ai posteri (cioè chiunque di noi, data la sua morte nel 2010) la suggestione del termine “bamboccione” (riuscitissima, a quanto pare), uno di trentasei anni è appunto un bamboccione. Questo che abbiamo qui ha pure due cognomi: Böhm o Xylophon, come preferite, a seconda di quale database utilizzate: col babbo o con la mamma, purché se magna.
- La storia. Questa non è male: partendo da un quasi paradosso, si arrampica talvolta sugli specchi, e tralascia alcuni particolari che aveva invece introdotto stuzzicando una curiosità che avrebbe meritato più rispetto (“l’Uomo Farfalla” al quale fottono la macchina, perché non ritorna in scena? Prometteva qualche scintilla in più...). La Morte e l’Amore si intrecciano bene, purché non ci scassino i maroni con “il messaggio”... questa promessa è mantenuta.
- Gli attori. Qui si sale molto di livello. Trattasi, per il sottoscritto, di un terzetto perfettamente sconosciuto. Però, dati i bisogni e le necessità biologiche di un prossimo senil-demente come il sottoscritto, Marko Mandic nel ruolo della Morte è un perfetto Denis Hopper tipo in Velluto Blu; Noah Saavedra nei panni del morituro Juri è tanto un Jesse Eisemberg, o un Andrew Garfield o Justin Timberlake (tutti presi da “The Social Network”... ve l’ho detto che mi sto rincretinendo....); mentre Vanessa Loibl (Nina, la donna in mezzo) fa esplodere la nostalgia e l’entusiasmo per le “piccole, more e calzate” come la Wynona Ryder degli esordi. Parallelismi neurologici a parte, i tre sconosciuti sono semplicemente bravissimi.
- La sceneggiatura. Ottima prova: tutto in una notte.
- I contorni. C’è una sequenza discretamente lunga verso la mezz’ora, una pista di go-kart chiusa al pubblico, una sfida irrazionale a “roulette russa” (con la Morte in campo, ce lo si deve aspettare...), tra il Mandic e il Saavedra da un lato e una coppia madre/figlio (si suppone) dall’altro. Ecco: questa, insieme ai colori che la dipingono, è la creatività che uno si aspetta da un film, anche se il film non sarà mai un cult, un campione di incassi, campione di niente. I due personaggi che prendono la scena in questo frangente, meritano ogni plauso, al di là del valore complessivo dell’opera.
Il finale, che può, anzi deve, non entusiasmare sul piano della logica, con quell’Uccello del Paradiso che prende definitivamente il posto del Corvo foriero di sventura imperversante per tutto il film, lascia un inaspettato buon sapore e una vena di altrettanto inattesa delicatezza: dopo tante (seppur leggere e ben irrorate di ironia) oppressioni di sventure e di destini ineluttabili, una tra le più splendide creature che popolano la Terra (e i Cieli, quando si impegnano a volare) prende la sua strada, a piedi nonostante le ali, andando un po’ di traverso, senza troppi problemi, quasi avesse fumato un po’ di oppio.
Interessante. Chissà se il prossimo lavoro sarà a nome Böhm oppure Xylophon... Io me li segno tutti e due.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta