Regia di Agostino Ferrente vedi scheda film
Non posso negare che all’inizio della visione dell’ultimo film di Agostino Ferrente, quando iniziano a scorrere le prime immagini, lo scetticismo mi ha inondato. Per fortuna, è durato poco. Nonostante Ferrente decida di utilizzare, ancora una volta, il documentario come forma e metodo di narrazione, mai come stavolta, la scelta si dimostra vincente.
Due ragazzi, Alessandro e Pietro, diventano registi della propria vita e, con l’utilizzo di un cellulare, filmano le loro giornate condite dall’amicizia vera e intensa che li unisce.
Questo metodo narrativo che inizialmente può sembrare un “prendere le distanze”, finisce per essere poi compreso pienamente quando ci si accorge che è invece una sorta di riverenza, un segno di rispetto che sta ad indicare che nessun altro sarebbe capace di raccontare quella realtà meglio di coloro che la vivono giorno per giorno.
Sullo sfondo la tragica vicenda di Davide Bifolco, sedicenne incensurato colpito a morte da un carabiniere, proprio lì in quel Rione Traiano che è la scenografia costante di questa pellicola dal tono differente che finisce per coinvolgere ed emozionare.
Riflessivo e forte, il film di Ferrente non utilizza mezzi termini, ti spiattella in faccia la realtà nuda e cruda. E’ il racconto dell’emarginazione di una generazione che vive ai confini delle città, in quelle periferie dove ogni destino è già scritto, e la rassegnazione si legge si volti di ogni giovane che attraversa il quartiere.
Amaro e necessario a comprendere una realtà che spesso ci viene raccontata senza cognizione di causa, e il metodo utilizzato, queste immagini imprecise, mai nitide alle cui immagini di un cellulare in modalità “selfie” con i protagonisti perennemente inquadrati, alternati a sequenze mute prese dalle telecamere poste in giro per il quartiere, compongono un opera fuori dal comune che possiede il potere di farci corrucciare la fronte, di porre l’attenzione verso qualcosa a cui non siamo abituati, ed era ora.
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