Regia di Federico Bondi vedi scheda film
E’ un cammino di scoperta e di rinascita, lontani da pietismo, buoni sentimenti e piagnistei, si sorride spesso, si aprono finestre per arieggiare la casa umida e buia, la vita continua e c’è anche modo di sentirla respirare.Nel vento, nei colori, negli odori, nell’aria racchiusa in un palloncino, nel poco che resta.
Dafne è un nome che non lascia indifferenti, chi va al cinema per scoprire il film senza saperne nulla prima ha la testa piena del mito famoso.
Poi scopre che Dafne è figlia unica di due genitori amatissimi un po’ avanti negli anni, lavora in una COOP, ha un bel caschetto di capelli rosso mogano dal taglio trendy intesta, veste sportivo con molto gusto ed è una delle quarantamila persone oggi in Italia affette da sindrome di Down.
Tutto questo sarebbe il normale identikit di un personaggio protagonista di una storia altrettanto normale di vita in famiglia, rapporto con i genitori e con il mondo, amore e morte, sofferenza e bisogno di sopravvivere, se ad interpretarla non fosse lei, Carolina Raspanti, classe 1974, una giovane donna che per 94 minuti domina la scena con una fisicità che s’impone, un’energia vitale come di rado capita di vedere, una carica di umorismo spontaneo e una dolcezza brusca e profonda che soggioga lo spettatore, portandolo con naturalezza ad un finale inaspettato, il momento più bello di un film teso fra dramma e commedia.
Vincitore del premio FIPRESCI nella sezione Panorama dell’ultima Berlinale, l’idea di Dafne di Federico Bondi nasce da un incontro alla fermata del bus con un padre anziano e la figlia down che si tenevano per mano.
"Non volevo fare un film sulla sindrome di Down e neanche sulla diversità in generale. Volevo cercare di approfondire quelle che sono le risorse che ognuno di noi ha dentro".
Carolina Raspanti, romagnola, scrittrice di due libri e impiegata all’Ipercoop è stata trovata ed è diventata grande amica del regista.
“La prima impressione che ebbi quando la vidi fu quella di una maestrina che sa tutto. Io mi do delle regole che spesso sono fatte per essere infrante, mentre lei quello che pensa fa, nessuna contraddizione".
Carolina trasferisce in Dafne tutto quello che lei è veramente nella vita: "Ho tante piccole debolezze ed a volte sono un po' rigida con me stessa forse, quando c'è qualcosa che salta mi incavolo, l'imprevisto mi manda in tilt".
Nel film c’è una cesura improvvisa, inattesa, dopo poche scene iniziali di serena vita in vacanza in un villaggio estivo.
La madre (Stefania Casini) muore, sparisce all’improvviso dopo un “Vado in lavanderia” a marito (Antonio Piovanelli) e figlia.
Solo la sera prima avevano fatto festa, ballato sulle note di Fred Bongusto come due fidanzatini, Dafne si era scatenata nella disco music, la vita sembrava dovesse durare all’infinito così, e poi la morte, l’assenza, gli spazi vuoti nella casa all’improvviso fredda.
Bondi ama le ellissi, nulla troppo nel raccontare i fatti della vita, dosa con misura le emozioni, i trasalimenti, tutto prende forma sullo schermo come una volta nelle fiabe raccontate dalla nonna davanti al focolare, poche parole e il feedback con chi guarda o ascolta fa il resto.
Dafne e il padre restano soli, lei soffre come può soffrire una figlia amata e coccolata dalla madre, lui fa una gran fatica a tirare avanti.
Come raccontare tutto questo inenarrabile dolore?
La voce bassa, roca, a tratti spezzata del padre, la camminata un po’ curva, ha qualcosa del Clint Eastwood degli ultimi film, le sigarette una dopo l’altra.
Per Dafne basta una scena in macchina di ritorno dal cimitero:
"La scena del pianto in auto è arrivata in maniera naturale. Lui è molto bravo a entrare dentro le persone per tirargli fuori le vere emozioni. Mi ha messo “Come mai” di Max Pezzali, che non mi aspettavo, una canzone a cui sono molto legata perché mi ricorda il mio primo vero amore. Ascoltarla mi ha fatto piangere".
A metà il film diventa un on the road, Dafne dà un colpo di reni alla loro esistenza e trascina il padre a piedi lungo i sentieri dell’Appennino fino alla vecchia casa di montagna che la madre amava tanto e dove c’è il cimitero in cui è sepolta.
L’incontro, gustosissimo, con due giovani guardiacaccia che daranno un breve passaggio in jeep alla strana coppia serve ad abbassare i toni, il trekking di padre e figlia non si carica di enfasi, i due vanno a ritrovare la madre dove è giusto e normale trovarla, nella casa che amava, nel piccolo cimitero di campagna dove è sepolta.
Si tratta di sentire nel modo giusto il rapporto tra vita e morte, presenza e assenza..
E’ un cammino di scoperta e di rinascita, lontani da pietismo, buoni sentimenti e piagnistei, si sorride spesso, si aprono finestre per arieggiare la casa umida e buia, la vita continua e c’è anche modo di sentirla respirare.
Nel vento, nei colori, negli odori, nell’aria racchiusa in un palloncino, nel poco che resta.
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