Regia di Youssef Chahine vedi scheda film
Nell’Andalusia del dodicesimo secolo spicca la figura d’intellettuale di Averroè (Nour El-Sherif), uomo di immensa cultura e principale traduttore delle opere di Aristotele. Ma i fondamentalisti religiosi iniziano a farsi strada con sempre maggiore prepotenza. Gli adepti aumentano e acquistano sempre più influenza nei gangli del potere. Per tenerseli buoni, il califfo Al Mansour (Mahmoud Hemida) sposa la loro richiesta di mettere al rogo le opere di Averroè, che con il loro proporre la civile convivenza dei popoli minano alla radice la propugnata superiorità della loro fede religiosa. I discepoli di Averroè si impegnano a salvare le sue opere dal fuoco dell’ignoranza portandole lontane dalla Spagna.
l film si apre con l'uccisione al rogo di un traduttore delle opere “dell’eretico Averroè", con un montaggio che alterna in rapida successione le facce amorfe di alcune statue e quelle delle persone presente all'evento. L'incipit e chiaro, la ragione è sopraffatta dall’oscurantismo, il sapere che non è in linea con la morale corrente va combattuto con decisione. Ma è proprio perché il sapere fa così tanta paura che va difeso e trasmesso con ogni mezzo, è proprio per la loro capacità di educare al bene che uomini illuminati come Averroè diventano l'antidoto contro la sempiterna attitudine ad alimentare i pregiudizi attraverso l'ignoranza. Sembra partire da questo assunto “Il destino” di Youssef Chahine, un film che vive di passione per la vita e trasmette chiara l'idea che solo l'esercizio della ragione e la pratica dei sentimenti possono disincagliarla dalle fauci malefiche del pregiudizio. Averroè non è tratteggiato solo attraverso la sua imponente figura di intellettuale, ma inquadrata anche nella sua dimensione domestica e quotidiana. Il film non usa solo la sua mente illuminata per arrivare a rendere visivamente la chiara distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male, ma anche il suo corpo vigile per metterlo continuamente in relazione con le laceranti contraddizioni del suo tempo. Per tal fine, Chahine mischia filosofia e passioni, riflessioni prodotte dalla ragione e azioni orientate dai sentimenti, in una continuità narrativa che alterna gravità dei contenuti e allegria dei suoni e dei colori, taglio speculativo e afflato melodrammatico. Il cinema di Youssef Chahine, insomma, che per i suoi affreschi storiografici si è sempre affidato ai tempi ritmici del musical e alle modalità narrative del melodramma. In questo film è ancora più accentuato il tratto coreografico e canoro, al punto che ad emergere evidente è una gran voglia di vivere. Si canta e si balla spesso, come a voler esorcizzare il buio che avanza. “iItona la tua canzone a piena voce, poiché e ancora possibile cantare”, si sente spesso lungo tutto il film, un refrain che sembra voler rappresentare la ferma volontà di vincere l'ignoranza cantando la vita.
“Il destino” rappresenta la continuazione ideale de “L'emigrante”, l'altro grande affresco storico girato dal regista egiziano. I due film hanno in comune soprattutto il fatto di mettere la conoscenza al centro della narrazione. Ram la ricerca per sé per emanciparsi dalla condizione di schiavo e nomade a vita ; Averroè la concepisce come un bene da trasmettere agli altri per costruire una società più giusta e tollerante. Ma mentre Ram riesce a farsi strada applicando i saperi cui entra in possesso all’introduzione di innovative tecniche per l'agricoltura, Averroè si scontra con l'impossibilità di dare sfogo a tutto il suo sapere rendendolo servibile per tutta la collettività. “Non so neanche più perché scrivo dal momento che il mio pensiero non arriva più nessuno”, dice Averroè in un momento di evidente sconforto, quando la chiarezza argomentativa donatagli dalla ragione fa sempre più fatica a riscaldare i cuori delle persone, quando il carisma derivatogli dalla cultura inizia a non essere più riconosciuto. “La rivelazione arriva alla sola creatura che possiede la ragione ovvero l'uomo. La Sharia è insieme la rivelazione e la ragione. La legge divina vuole ristabilire le cause, i modi e gli effetti che ne conseguono. La rivelazione integra la ragione e la ragione fa sua la rivelazione. Alcuni giovani credono che la religione sia ignoranza, alcuni anziani hanno fatto dell'ignoranza una religione”. Questo predica Averroè, parole che iniziano a diventare pericolose perché non in linea con il “nuovo” ordine politico e religioso che si sta cercando di imporre. Potere che contrastano con l'onda fondamentalista che vuole usare la religione per fare della superstizione e della paura i requisiti essenziali del suo potere esclusivo.
Youssef Chahine ci catapulta, infatti, all'origine del fondamentalismo religioso, ed è abile a generare un ponte temporale lungo 800 anni per mostrare come, all'origine delle laceranti contraddizioni che attraversano ancora oggi il mondo arabo, c'è il modo in cui il fanatismo religioso ha saputo insinuarsi nel tessuto culturale di matrice islamica facendo leva sulla mistificazione interessata della sola componente Jihadista.
Di fronte alle prime avvisaglie tumultuose e alle prime prove di proselitismo coatto messe a punto dai gruppi integralisti, Averroè incarna le fattezze del filosofo che capisce prima di chiunque altro che le cose non sono mai semplici come sembrano, che il seme del fanatismo religioso sta diventando sempre più fertile perché il potere in carica si limita a reprimere gli effetti senza indagarne le cause. Sta qui tutta l’attualità della figura illuminante di Averroè, ed è per questo che “Il destino” si pone come un’acuta riflessione sull’esercizio del potere che non cessa di fornire spunti interessanti. Una riflessione che lega passato e presente lungo un unico percorso storico funestato di odi religiosi e pregiudizi razziali. Tutto perché si è voluto usare la religione dei padri per giungere ad uno scopo primario : anteporre un irragionevole volontà di potenza al destino scritto per dell’umanità vestito di pacifica convivenza tra i popoli. Perché, ci ricorda il saggio Averroè, “nulla chiede ragione all'onnipotente, ma l'onnipotente chiederà conto all'uomo”. Perché, ci ricorda il maestro egiziano con la didascalia che conclude il film, “il pensiero ha le ali, nessuno può arrestare il suo volo”. Grande film, da rinverdire, come tutto il cinema di Youssef Chahine.
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