Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Nella sua aderenza alla tradizione di una narrazione canonica (o "classica"), Mezzanotte nel giardino del bene e del male (1997) ha in sé i germi mimetizzati eppure identificabili di una manipolazione in senso lato e ambigua, ambivalente, ma anche consapevole negli intenti. La cornice narrativa circolare (Minerva [Irma P. Hall], la sensitiva nera sulla panchina del parco) non è un vezzo convenzionale, una pratica "fatta" e riciclata, ma circoscrive un nucleo, uno spazio e un tempo che il film mette in luce nella loro particolarità, quelli di Savannah e dei suoi abitanti, della sua atmosfera e soprattutto della vicenda presa in esame.
Il film di C. Eastwood parte da un fatto realmente accaduto e poi rivisitato in un libro di John Berendt, ma soprattutto cerca un approccio equilibrato in senso critico ("mezzanotte"), traccia strade e punti di vista che si svolgono nel "giardino del bene e del male" cercando di non dare un giudizio unilaterale, mettendo sui piatti della bilancia i vari fattori (la statua del cimitero che tiene due vassoi). Analogamente Eastwood trova uno stile multiforme nelle influenze dei generi (dal thriller al processuale, dal fantastico al dramma con saldi exploit da commedia, forse - un po' esagerando - anche un ammiccamento al musical nella sincronia delle portiere delle auto che si aprono e da cui escono coloratissime signore) che però sa quantificare e dominare perfettamente nella struttura del film, così realistico nella percezione degli ambienti, esterni e interni, e nell'opposizione tra apparenza ed essenza (con rimandi più o meno evidenti, dal contenuto omosessuale alla corsa ai favori, dalle convenzioni opportunistiche al quadro falso, al ballo impettito dei neri che imitano le etichette dei bianchi, una delle sequenze più grottesche e kitsch mai viste), quanto appunto simbolico e "surrealistico" in certi momenti.
La complessità e l'artefatto si mimetizzano nella forma classica, mentre il distacco non impedisce qua e là più diretti interventi della presenza dello sguardo del regista, a fior di pelle e in particolare ironici. La verità, come l'arte, sta nell'occhio di chi guarda.
Riporto alcune considerazioni di Mauro Giori: [...] Mezzanotte nel giardino del bene e del male sfugge invece ad ogni inquadramento, e tutti i suoi personaggi (prostituto compreso, nonostante la sua parvenza radicalmente malefica) rimangono ambigui fino all’ultimo. Persino Williams, il dandy che Kevin Spacey interpreta con cinismo wildiano, ora vittima indifesa ora carnefice mefistofelico, si guadagna infine una sorta di riscatto nella riconferma dell’impossibilità di cogliere la verità, e la sua morte non ha nulla di moralistico, ma piuttosto serve a congelare “lo stato delle cose” nel momento di maggiore apertura. [...]
Non abbiamo più la visione manichea di una società minacciata dagli omosessuali e difesa da eroi ipervirili che sanno stare al loro posto, ma piuttosto una visione critica che descrive la società come un coacervo di convenzioni che si sforzano, senza riuscirci, di dare forma razionale a un magma di possibilità, che però nella loro irriducibile complessità si sottraggono continuamente a tale lavoro di ordinamento, che come tale prevede la necessità di cogliere e imporre una e una sola verità. Ciò che appunto il film nega tenacemente fino alla fine, giocando (anche se un po’ folcloristicamente) a opporre in conflitti irresolubili razionalità e magia, ragione e follia, calcolo e istinto, natura e cultura. [...]
Ciliegina sulla torta è una magnifica Lady Chablis, una forza della natura di simpatia contagiosa e che incarna la schiettezza, la verità nuda e cruda che dà fastidio persino in un'aula di tribunale dove per definizione si esige il giuramento e smaschera in un batter d'occhio ogni ipocrisia con un corpo che gioca al contrario sul doppio senso e il mascheramento, sull'evidenza delle contraddizioni e il vuoto di ideologie preconfezionate. 8 1/2
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