"MARTINI come il drink, MIA come un'attrice che mi piace molto". Questa la genesi del connotato anagrafico di una cantante talentuosa certo, ricercata dai massimi autori che le "regalarono" gioielli come Minuetto, Piccolo uomo, E non finisce mica il cielo, ma non per questo non vulnerabile o insensibile agli attacchi che la sorte avversa, il caso, la sfortuna, e la maldicenza della gente, le hanno sferrato durante tutto il trentennale di una sua carriera costellata di alti e bassi, collocata da inizi '70 a metà anni '90, quando fu prematuramente interrotta dalla scomparsa a soli 47 anni, per arresto cardiaco.
Attraverso un'intervista che una tenace, ma di fatto svogliata giornalista (ben resa dall'ottima Lucia Mascino) si appresta a fare alla cantante, solo come viatico utile per arrivare al grande Ray Charles, presente come ospite in occasione della chermesse sanremese del 1989, alcuni lunghi flashbacks disposti in ordine cronologico, ci fanno rivivere le fasi salienti della carriera artistica, sentimentale e familiare che hanno caratterizzato la tormentata esistenza della cantante.
Una donna assai dotata, determinata, ma anche fragile e propensa a soccombere dinanzi alle mille insidie che la vita ebbe occasione di presentarle per conto, tra cattiverie ed invidie senza alcun rispetto, e sfortune e coincidenze negative, utili solo a suffragare tesi assurde circa la predisposizione della cantante a portarsi appresso guai e sciagure.
Largamente ambientato nella Sanremo del festival - l'edizione 1989 dei "figli di papà", scrupolosamente riprodotta nelle scenografie originali dell'epoca, e girata nella stessa hall dello storico teatro Ariston e in alcune note locations urbane della celebre città dei fiori, in quell'anno che significò per la cantante la rinascita definitiva grazie allo splendido pezzo di Bruno Lauzi "Almeno tu nell'universo", premio della critica in quella occasione, "Io sono mia" è un film di fattura televisiva ed impostazione narrativa sin troppo elementare e prevedibile, in grado tuttavia di raccontare in modo dignitoso le dinamiche drammatiche di un percorso artistico accidentato, tormentato, condizionato da avvenimenti familiari, sentimentali e personali in grado di rendere la carriera della cantante, un percorso tortuoso tutto sali-scendi improvvisi ed ostacoli non preventivati.
Ma la parte vincente di questo prodotto narrativamente piuttosto scontato e, ammettiamolo, stilisticamente incarcerato entro binari poveri di idee e stile innovativi, è il rapporto di ostilità/complicità che nasce, matura e si trasforma tra le due donne diverse per stili, interessi e cultura, che il caso mette a contatto: l'artista decaduta e vinta da troppa cattiveria e cinismo, e la giornalista acuta e tenace che un bieco arrivismo, tutto prettamente maschile, cerca di piegare e sottomettere: due casi di intolleranza e ostilità contro un talento femminile che infastidisce e crea complessi, ma che per questo suggella un'intesa tra le due destinata a sfociare in un'allenza complice e condivisa.
La Mia Martini, resa con impegno dalla vocalmente dotata Serena Rossi, risulta impeccabile sotto il punto di vista artistico-canoro, tenendo conto che oltre la faccia ed il corpo, la Rossi ci mette pure la voce, giusta e corretta, anche se non certo identica a quella della cantante, specie se si considera il periodo finale della carriera, quello post operatorio a seguito dei problemi alle corde vocali accusati dalla donna. Certo la prestazione della pur valida e versatile attrice, nel contesto del film dalla costruzione assai esile e tutt'altro che originale, ricorda più una prestazione da talent show ("Tale-quale-show?", mi dice chi lo ha visto), piuttosto che una prova cinematografica pura e vibrante.
Assistiamo pertanto ad una panoramica un po' scontata, dai tratti un po' demodé, più che vintage, orchestrati per rappresentare un passato distante ormai un trentennio esatto, che guarda e si sorregge verso l'indietro di quegli albori di carriera nascente, soggetta e anzi perseguitata da mille varianti e variazioni di percorso, a molti condizionamenti, spesso problematici e negativi, che hanno segnato il carattere di una donna orgogliosa, ma anche piuttosto fragile, tendente ad incassare i colpi, piuttosto che schivarli o respingerli come avrebbe ed ha fatto in un certo senso una sorella battagliera di carattere come la sorella Loredana Berté, presente anche brevemente qui come personaggio nel film, in alcune brevi, gustose apparizioni.
Tra i personaggi appare pure, senza tuttavia essere citato espressamente, Renato Zero, mentre Ivano Fossati, parte integrante della vita sentimentale della cantante, viene completamente tenuto distante dal racconto.
In regia un esperto di fiction come Riccardo Donna, che si adopera per dar vita ad un corretto, ma anche monocorde prodotto televisivo, che stride molto rappresentato nel grande schermo di una sala cinematografica, nel mio caso proprio una di quelle del cinema Ariston che ha ospitato buona parte delle riprese del film.
Tra gli attori, oltre a quelli citati, segnaliamo la buona prova di Maurizio Lastrico, l'amore di Mimì, di Antonio Gerardi, manager duro ma oculato e costruttivo, Edoardo Pesce nel ruolo di Franco Califano, e Nina Torresi in quello di una tenace e accorata assistente della sfortunata, talentuosa artista per troppo tempo incompresa, sottovalutata, dimenticata.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta