Regia di Riccardo Donna vedi scheda film
È un’incognita ogni sera mia…
Era il 1972 quando i versi scritti da Franco Califano regalavano a Mia Martini uno dei più grandi successi della storia della musica italiana: Minuetto, un brano la cui partitura musicale di Dario Baldan Bembo spaziava tra generi e tempo. Quella frase, così banale eppure così pregna di significato, sembrava descrivere a pieno l’esperienza di Mimì, una donna il cui carattere indomabile l’ha portata spesso a combattere contro i cannoni che la osteggiavano e i fantasmi della propria anima. Se i fantasmi rispondevano al nome di insicurezza e bisogno d’amore, i cannoni avevano una sola ma devastante palla da esplodere: la jella che Mimì porterebbe con sé. Sì, perché il peggior nemico di Mia era solo una diceria, messa in giro da chi a superstizioni medievali affidava le ragioni della propria insoddisfazione, inconsapevole della sofferenza e della messa all’indice che avrebbe provocato.
Io sono Mia di Riccardo Donna più che una biografia di Mia Miartini è il racconto di un periodo ben preciso della storia della cantante originaria di Bagnara Calabra. La storia ha inizio nel febbraio del 1989 a due giorni dalla serata del Festival della Canzone Italiana di Sanremo che ha segnato il ritorno in scena della Martini con Almeno tu nell’universo, brano di Bruno Lauzi rimasto nei cassetti per decenni prima di essere inciso. La Martini, spinta dalle persone che la circondavano, aveva deciso di ritornare a cantare su un grande palcoscenico dopo gli infernali sei anni trascorsi in una sorta di limbo. Nota per il suo caratteraccio che altro non era che precisione e maniacalità sul lavoro, Mimì (come la chiamavano gli amici) era stata a lungo osteggiata da manager, professionisti e colleghi, a causa di quella infame accusa che da anni segnava il suo percorso esistenziale. Nella realtà non si sa chi sia stato il primo a collegare il suo nome ad alcuni episodi spiacevoli in qualche modo collegati indirettamente a lei. Nella ricostruzione di Donna il primo accusatore porta il nome di Tino Notte, personaggio frutto di finzione ma pressoché verosimile: Notte è infatti nel racconto un impresario a cui inizio anni Settanta la Martini rifila un secco no per l’eventuale partecipazione a un musicarello. Fa particolarmente effetto pensare oggi a come nessuno degli artisti tanto in voga in quel periodo presero posizione per sostenerla: si dice anzi che in molti facessero a gara per affossarla ancora di più per avere una rivale sul campo.
Donna ci porta dunque dietro le quinte del festival, dove gli accordi e gli intrallazzi tra addetti stampa, giornalisti e discografici sono all’ordine del giorno. Qui, Sandra Neri, una giornalista del settimanale Epoca, viene convinta a intervistare Mia Martini per ripiego: era lì per Ray Charles ma per una serie di giochi sottobanco viene dirottata, poco convinta, dalla Martini. L’incontro tra le due donne dapprima non è semplice: nessuna delle due si fida dell’altra e Mimì avverte quasi la forzatura con cui la giornalista è costretta a farle delle domande. Dopo aver superato l’iniziale diffidenza, Mimì si apre e inizia il suo racconto, partendo da quando poco più che bambina intona Etta James con un finto microfono, esasperando l’ira di un padre anaffettivo (e violento, si presume) che non condivide la sua passione per il canto. Con la sorella Loredana e la madre Mimì si ritrova a vivere dalla Calabria a Roma nei primi anni Settanta. Si tratta del periodo in cui stringe amicizia con il giovane Anthony, eccentrico artista romana, e passa da un locale all’altro guadagnando qualche spicciolo con cover e pezzi jazz. Ha già inciso qualche pezzo ma, a dispetto di un discreto successo di vendite, non è ancora riuscita a sfondare. In uno dei locali ha la fortuna di incrociare la strada di Alberigo Crocetta, avvocato e manager discografico che qualche anno dopo sarebbe divenuto il patron del mitico Piper. Senza cercare di nascondere il passato burrascoso della giovane Mimì (finita anche in carcere per uno spinello), Crocetta ne sfida l’indole impetuosa invitandola a mettere se stessa nelle canzoni e a sfogare lì i suoi sentimenti. È grazie a Crocetta che Mimì impara a essere un interprete e a dare senso a ciò che canta.
Padre, davvero ma chi ti somiglia… ma sei sicuro che sia tua figlia!
Il ritornello di una delle canzoni più biografiche della Martini, Padre davvero, seppur non scritta da lei e arrivata nelle sue mani, segna l’exploit della cantante. Grazie al lavoro di Crocetta, i giornali e le televisioni si interessano alla giovane Martini. Come lei stessa spiega, il suo pseudonimo è frutto di un accordo con il manager: Mia come l’attrice da lei preferita (la Farrow) e Martini come il prodotto italiano più famoso nel mondo dopo gli spaghetti e la pizza. Definita come la “nuova regina della Versilia”, la Martini si scontra presto con testi che sulla carta poco si addicono alla sua forte personalità. Il primo forte scontro con Crocetta lo ha in sala d’incisione per Piccolo uomo, brano che l’interprete non sentiva nelle sue corde e per cui il testo era lontano dalla sua immagine di donna. Ad avere la meglio, come dimostra la storia, è il fiuto di Crocetta che trasforma il 45 giri in un successo. Gli anni successivi sono per Mimì quelli del boom, dei due Festivalbar di fila vinta e della consacrazione europea: grazie a Minuetto, scritto da Franco Califano, a lei si interessano tutti, anche se la calunnia comincia a insinuarsi nelle menti dello star system.
clip2_ISM from Pietro Cerniglia on Vimeo.
«Come hai sopportato tale voce?». «Ero innamorata…».
Il 1978, come prosegue la stessa nell’intervista alla Neri, si rivela un anno particolarmente importante nella vita della Martini. Dopo un importante concerto, Mimì conosce un fotografo di scena, il giovane Andrea. Con lui vive uno dei grandi e sofferti amori della sua vita. Entrambi attaccati alle proprie carriere, vivono un sentimento simbiotico, fatto di intense passioni e accese discussioni. Per amor suo, Mimì inizia a tralasciare il lavoro e le vendite dei suoi nuovi dischi ne risentono. I discografici vorrebbero rimodellarla a loro piacimento ma Mimì rifiuta, rescinde contratti, rompe i rapporti con Crocetta e si allontana dall’ambiente. Dalle stelle alle stalle, strillano i giornali. Nel circolo vizioso che si innesta, rabbia e delusione portano anche al sorgere di incomprensioni e discussioni con Andrea, con cui – dopo aver rinunciato a una tournée in Canada con Charles Aznavour – non realizza il più grande sogno della sua vita: diventare madre. Come se non bastasse, le dicerie sul suo conto diventano accuse e Mimì viene allontanata persino dagli amici: anche solo nominarla diviene motivo di sfortuna. E la sera del Capodanno si trasforma per lei in tragedia: disperata per un diverbio con Andrea, perde la voce scoprendo di avere dei noduli alle corde vocali. Gli interventi chirurgici che seguono la costringono a stare lontana dalle scene e a sopportare in silenzio le infamanti accuse.
E non finisce mica il cielo anche se manchi tu…
Il rapporto burrascoso con Andrea fa da sfondo al desiderio di Mimì di ritornare in pista. L’occasione le si presenta grazie al Festival di Sanremo del 1982 che le apre le porte, supportata da un’etichetta indipendente, per la presentazione del brano Non finisce mica il cielo. L’esibizione è un successo, la critica apprezza Mimì ma l’ambiente circostante la distrugge dopo che il suo impresario ha un incidente automobilistico che gli costa la vita. Il pezzo non viene passato dalle radio, la Rai non la invita in nessun programma e annulla ogni accordo preso. Mimì rimane sola: al suo fianco c’è solo la fidata amica Alba, colei che non l’ha mai abbandonata. Anche l’amata sorella Loredana è via, presa dal suo successo e dalle vicende sentimentali che la portano in un altro mondo. Il vuoto intorno non è dunque solo fisico ma anche psicologico: Mimì smette di lottare. E lo fa volontariamente. Non cessa però di cantare e l’aspettano le sagre di paese, dove il pubblico – quello dai sentimenti genuini – l’accoglieva cantando i suoi pezzi.
clip8_ISM from Pietro Cerniglia on Vimeo.
«Se non canto, muoio»…
Gli amici veri non dimenticano Mimì. Sono pochi e tra questi c’è Bruno Lauzi, l’autore di Piccolo uomo. Come suo padre putativo, Lauzi cerca Mimì nella casa di campagna in cui si è ritirata a vivere. La cerca perché ha un pezzo che vorrebbe finalmente far conoscere al pubblico: Almeno tu nell’universo. Il periodo è propizio, Aragozzini (organizzatore del Festival di Sanremo) è d’accordo e non ha problemi con le voci in giro. Mimì dapprima rifiuta ma due diversi eventi la convincono a tentare di ritornare a cantare su un palcoscenico importante: Andrea, il suo grande amore, si sta per sposare con un’altra donna e la notizia la manda fuori strada con la macchina. La sua esibizione all’Ariston è un successo.
Sai, la gente è sola… come può lei si consola
Io sono Mia termina affiancando le immagini di fiction con quelle di Mia Martini sul palco. Il confronto è da brividi: Serena Rossi, chiamata alla prova più dura e impegnativa della sua carriera, se fossimo in un Paese diverso avrebbe già un Oscar in mano. La sua interpretazione trova paragoni solo nel lavoro fatto qualche anno fa da Marion Cotillard per interpretare Edith Piaf in La vie en rose (non a caso trionfò come miglior attrice protagonista agli Academy Award). Fisicamente, la Rossi lascia che il suo corpo diventi quello di Mimì: bello, affascinante, sinuoso, ma anche sconfitto, rabbioso e desideroso di rivalsa. Nulla è lasciato al caso, ogni dettaglio è curato: dalla mimica all’abbigliamento alle espressioni facciali, la Rossi si fionda sul personaggio, lo inghiotte e lo restituisce identico. Non siamo dalle parti della farsa e nemmeno in quelle di una puntata di Tale e quale show: l’attrice ha studiato la persona e non il personaggio, si è spogliata di ogni sovrastruttura e ha acquisito l’anima di chi nella vita non ha mai conosciuto il significato della parola felicità. Con un grande sforzo produttivo, la Rossi ha inciso tutti i pezzi cantati in scena con la sua vera voce, ottenendo un risultato da brivido.
Mimì è stata osteggiata dal mondo intero. Derisa e additata come una strega, ha vissuto a pieno la sua vita lasciandosi travolgere da ciò che più le stava a cuore: il cuore. Il gioco di parole, necessario, serve a rimarcare quanto l’affetto e il bene per lei fossero essenziali. Sono poche le persone che l’hanno sempre accompagnata, a partire dalla sorella Loredana, che da sempre si spende affinché il nome di Mimì sia onorato come si deve. È difficile immaginare che piega potesse prendere l’esistenza della Martini se non fosse stata considerata la portatrice di tutti i mali dell’esistenza.
Si può nel XX secolo morire per diceria? Sono in molti che hanno la sua scomparsa sulla sua coscienza. Ricordo che da ragazzino ero affascinato dalla sua presenza ma non capivo come mai avesse sempre il vuoto intorno a sé. Ricordo una puntata di uno show del sabato sera in cui felice cantava con le colleghe Barbara Cola e Ivana Spagna: volava nel vedere le altre due artiste cantare con lei e si emozionava nel cimentarsi lei nei successi delle colleghe. Perché nessuno si oppose alle voci quando si era ancora in tempo? Cosa aveva fatto di male per meritarsi tale trattamento? I resoconti di oggi sono impietosi: basta leggere qualcosa per rendersi conto come personaggi piuttosto eminenti avessero del tutto perso il nume della ragione.
Donna (e la sceneggiatura di Monica Rametta, realizzata con il supporto delle sorelle Loredana e Olivia Berté) non tace. Sottolinea i momenti peggiori ma li fa seguendo la percezione che Mimì aveva di quei giorni: ora incurante perché appagata dall’amore ora sofferta perché impossibilitata a cantare. Stupisce ma non per colpa del regista che in molti abbiano preso le distanze dal progetto e abbiano preteso che i loro nomi non fossero evidenti. Cosa temono ad esempio Renato Zero e Ivano Fossati? Chi conosce la biografia di Mimì sa bene che Anthony e Andrea sono loro. Si sa poi che per questioni sceniche molti aneddoti vadano riveduti e resi più “raccontabili”…
Nel comparto artistico, si segnalano le prove non facili di Edoardo Pesce, chiamato per una fugace apparizione a interpretare Franco Califano (ah, come lo meriteresti un film!), e Dajana Roncione, a cui spetta il compito di dare corpo, voce e battuta alla battagliera Loredana Bertè.
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