Regia di Toby Haynes vedi scheda film
Ormai la comunicazione ha una rilevanza esponenzialmente maggiore del messaggio finale stesso. La persuasività, le argomentazioni selezionate, gli interlocutori convocati e la mancanza di scrupolo hanno stravolto gli equilibri tra il come e il cosa, tra ciò che è giusto e quanto è sbagliato, tra la verità e la menzogna. Di fatto, conta solo pervenire alla vittoria finale portando acqua al proprio mulino e del resto importa solo agli sconfitti.
In un condensato di novanta minuti, che non concede un attimo di tregua ed è stordente per la mole di informazioni e implicazioni riversate, Brexit – The uncivil war illustra appieno queste disquisizioni, spingendosi implicitamente oltre il soggetto stesso che, già di suo, mostrerebbe le tante crepe sofferte dal sistema democratico. In affanno da tempo immemore, totalmente incapace di ascoltare e fornire risposte adeguate al disagio sofferto della parte più svantaggiata della popolazione.
Gran Bretagna, 2016. Il referendum per decidere se la Gran Bretagna resterà o meno nell’Unione europea sta prendendo forma. Mentre chi parteggia per il remain utilizza gli argomenti di sempre e qualcuno fa cagnara a favore del leave, Dominic Cummings (Benedict Cumberbatch) studia strategie innovative per portare più voti possibili a favore dell’uscita, pur essendo in totale disaccordo con i metodi suggeriti da chi in apparenza comanda le operazioni.
L’esito è noto, mentre gli eventi intercorsi, a parte quelli clamorosi, lo sono assai meno (ndr gennaio 2021: intanto sappiamo che i pescatori e gli allevatori hanno scoperto di essere stati gabbati).
Brexit – The uncivil war entra in tackle duro nella campagna referendaria che nel 2016 ha portato la Gran Bretagna fuori dall’Unione Europea, scandagliando gli ingranaggi nascosti dietro le quinte, quanto avvenuto al riparo dei riflettori dell’opinione pubblica.
Il film di Toby Haynes prende una posizione netta sul tema specifico ma contestualmente apre anche il compasso della riflessione. Infatti, lasciando per un momento da parte il tifo (per chi scrive, insopportabile a prescindere), suggerisce di guardare fuori dall’oblò, puntando i fari sullo stato agonizzante e intossicato della democrazia nel mondo occidentale, che ha perso per strada una fetta consistente del popolo, vittima della globalizzazione e di errori politici, con una distanza incolmabile tra establishment e chi ha perso per strada le certezze di un tempo.
Quindi, Brexit – The uncivil war intreccia un riquadro complesso, dettagliato e puntuale, così come applicabile in infiniti scenari. Sciorina un maelstrom di informazioni, allinea personaggi a getto continuo, spazia tra pensieri e azioni, tra cittadini spaesati e un attacco generalizzato ai politici di ogni schieramento, grumi di risentimento e trasformazioni sociali che nessuno si è mai curato di seguire, con il risultato di generare un profondo malcontento, una categoria di abbandonati che non ha ricevuto mezza risposta per decenni.
Con l’aggiunta di un camaleontico e carismatico Benedict Cumberbatch, encomiabile per come sottolinea le sterminate sfumature del cangiante personaggio che interpreta – un timoniere scomodo, imprevedibile, sagace, ingombrante, pragmatico e pugnace -, e di un montaggio percussivo, Brexit – The uncivil war crea più di uno smottamento, aggiungendo ai fallimenti l’egoismo, alle false illusioni le disillusioni di lungo corso, tra sfiducia e divisioni inguaribili, con considerazioni sventagliate con un’incredibile loquacità, un tiro a segno che, seppur in forme diverse, non risparmia nessuno.
Martellante e circostanziato.
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