La famiglia sostiene, motiva e protegge anche quando crea affanni, assicurando con la sua presenza il sostentamento materiale e psicologico, anche quando frutto di accomodamenti per necessità.
Solo in questo modo si riescono a spiegare i sentimenti di solidarietà che possono unire un asino con un cane randagio, in cui ci imbattiamo ad inizio e fine film, alle prese con le problematiche di sostentamento in un contesto di totale anarchia e predominio dell'elemento naturale che suggeriscono un istintivo spirito associativo, se non proprio collaborativo.
In un contesto molto simile ha trovato rifugio un ragazzino scappato di casa per circa una settimana dopo lo choc della perdita del padre, creando ancora più ansia nella già difficile situazione che una madre deve affrontare per far andare tutto avanti, nonostante quel lutto improvviso.
E quando il piccolo Philip fa ritorno dal bosco, per la madre Astrid, una organizzatrice di spettacoli teatrali, i problemi sono tutt'altro che finiti.
Perché quella fuga apre voragini all'interno di una famiglia minata nell'armonia e nell'equilibrio.
Non c'è un vero filo conduttore che lega ciò che avviene al momento del ritorno del fuggitivo: una donna che tenta con affanno di mandare avanti lavoro e casa, e che cerca di ridurre le attese ed i tempi morti anche acquistando una bicicletta che le consenta di accorciare le distanze: ma anche questa iniziativa non farà che creare nuove problematiche e nuove tensioni.
Uno sfogo interminabile con un collega incontrato per caso fuori dal supermercato, ci fornisce la dimensione del disagio della donna, che viene colta da un delirio di impotenza che non può che apparire altro se non un urlo di dolore.
Forse il figlio di Astrid non ha sbagliato ad allontanarsi, a cercare rifugio presso una natura che a volte appare molto meno imprevedibile ed ostica di una realtà che ormai ci sfugge sotto molteplici punti di vista.
I was ati home, but, è un esperimento estremo che sonda la frustrazione, e finisce per frustrare lo stesso spettatore, come dimostrazione di quanto gli intenti di regia e direzione, oltre che di narrazione, siano riusciti a cogliere nel segno le intenzioni dell'autrice.
Forte di una prova d'attrice del tutto notevole da parte della protagonista Maren Eggert, il film, premiato alla Berlinale 2019 con il riconoscimento per la Migliore Regia, ha il merito di farci conoscere la regista tedesca Angela Schanelec che sarà utile tener d'occhio nel prosieguo della sua tutt'altro che scontata e complessa attività di cineasta.
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