Regia di Fatih Akin vedi scheda film
Disgustoso e sgodevole ritratto di un serial killer, girato privando l'occhio di sequenze shock ma in un ambiente di tale degradazione fisica e morale che rende davvero difficile sopportarne la lunga visione.
Amburgo, 1974. Fritzh Honka (Jonas Dassler), disoccupato alcolista, frequenta il sordido quartiere St. Pauli, in particolare un bar malfamato nel quale incontra donne anziane disadattate, in genere ex prostitute abbruttite e depresse. Conducendole nel suo sottotetto, finisce per massacrarle, tagliandone poi i corpi a pezzi che conserva in uno sgabuzzino. Agli occasionali ospiti di casa, tra i quali il fratello, il motivo dei cattivi odori (attenuati con arbre magique!) viene attribuito alla responsabilità di immigrati greci, residenti al piano di sotto.
Deprimente, sgodevole, geriatrico viaggio nel delirio di un assassino, aggravato dal fatto che Fatih Akin si è ispirato ad eventi reali, e ad una figura di serial killer demente che ha potuto fare quel che ha fatto -in una società a dir poco distratta- continuando per lungo tempo se non fosse avvenuto un provvidenziale incendio. Akin fa riferimento a classici dell'espressionismo tedesco (come è anche evidente dal manifesto cinematografico, in particolare si ricorda di M - Il mostro di Düsseldorf e Il mostro di Mägendorf) cercando però di sfruttare anche il clamore che ha circondato Trier e il suo La casa di Jack (pressoché copiata la scena dell'interminabile strangolamento di una vittima); da quest'ultimo infatti preleva un clima di decadente e fastidioso cinismo che circonda un protagonista imprevedibile ed irruente (là un ingegnere, qua un analfabeta mentalmente interdetto).
Ponendosi l'obiettivo di non mostrare scene splatter, ma insistendo su una zona residenziale di inarrestabile degradazione e di brutture esistenziali, Akin procede in discesa, sguazzando nello schifo di una sporcizia ambientale che è specchio di quella interiore: tra donne grasse, laide e sozze, uomini che non hanno minimo senso del rapporto sociale e umano (danno schiaffi e calci anziché carezze), locali frequentati da persone alla deriva e avvilente musica, in arrivo da un juke box o dall'unico disco di casa Honka, in linea con il rattristante ambiente. Il mostro di St. Pauli procede su questo inarrestabile piano in declino, riuscendo nel difficile compito di rendersi del tutto film sgradevole e demoralizzante. Non uno spiraglio di luce filtra durante la narrazione, ed è ovvio sia così, trattandosi di una vicenda che sarebbe stato meglio lasciare alla cronaca (nera e vera) e ai libri di storia. Una storia che non contempla pietà o comprensione, ma solo irrazionale follia. Perché qui c'è ben poco di che riflettere. Sì, è costruito molto bene, con scenografie accurate e addirittura ricostruzione dettagliata dello squallido soffitto in cui ha vissuto (?) l'indifendibile e inaccettabile Honka (con foto reali posizionate sui titoli di coda); e Jonas Dassler (direste che ha solo 23 anni?), opportunamente truccato alla Lon Chaney, tratteggia con impressionante realismo la figura del degenerato protagonista, fedele alle teorie lombrosiane, ovvero sgraziato nel suo incedere ingobbito e claudicante, inguardabile per mascella asimmetrica, naso deforme e dentatura mostruosa. In conclusione ci troviamo di fronte ad un apologo del cattivo gusto, con rigetto della raffinatezza, del buon senso e del bello. Se ci si vuole fare del male, magari in cerca di un po' di depressione, Il mostro di St. Pauli è so bad so good, ovvero (s)consigliato.
"I film con protagonisti gli assassini seriali hanno liberato gli autori dalla necessità di trovare un movente ai delitti. Il serial killer ti fa lavorare per immagini abbandonando la necessità di seguire un percorso razionale." (David Grieco)
F.P. 31/08/2019 - Versione visionata in lingua tedesca (durata: 109'58")
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