Regia di Jon Watts vedi scheda film
Inizia imperfetto, l’ultimo Uomo Ragno della coproduzione Marvel-Sony, con molti antefatti riconducibili agli eventi dei capitoli conclusivi degli Avengers, la morte di molti eroi, tra cui il padre putativo di Peter Parker, Tony Stark, e l’effettiva conclusione di una fase narrativa, tutto rimescolato nello stile incerto e retorico di un filmato amatoriale. Ricapitolando gli avvenimenti recenti, Spider-Man Far From Home ribadisce il trauma dell’abbandono che imprime al protagonista e, nelle sue conseguenze (il salto di 5 anni dopo lo “sfogliamento” di Infinity War e il “blip” di ritorno di Endgame), agli altri personaggi, in funzione classicamente motivazionale nonché giustificativa del pretesto iniziale: il viaggio in Europa per i piccoli americani stressati. E questa vacanza si esibisce sullo schermo secondo gli stilemi del turismo di massa, con visita rapida alle più significative città d’arte (anche se lascia perplesso il museo Da Vinci come motivo del transito dalla città lagunare), mentre nel film riprende corpo e sostanza il teen-drama che ne costituisce l’ossatura portante, con gli amori e gli affetti confusi dei personaggi, condite delle macchiette incolori virate al comico del corpo insegnante e la scuola come vago e prescindibile orizzonte collettivo: su questo scenario si innesta la trama supereroistica a tendenza leggera, sulla falsariga del primo opus e della serie di Ant-Man, che invece si adagia sulle dinamiche da rom-com.
Nel tratteggio di Mysterio, il vilain di puntata, si riconoscono apporti iconografici da Thor e da Doc Strange (esplicitamente citati nel film), l’edificazione di una presentazione di contorno accattivante in quanto iperbolica, il rimescolamento degli elementi attinti dai fumetti (il multiverso, già attraversato di recente da Spider-Man nella sua versione animata). L’utilizzo e il ridefinizione degli stilemi classici e noti è costitutivo della rilettura del nuovo Uomo-Ragno, assieme alla ridistribuzione dei ruoli dei personaggi ricorrenti (MJ, Flash, Zia May, Betty Brant ecc.) a nuove e aggiornate versioni. Nella consecuzione tra i due film monografici sul Tessiragnatele non viene solo recuperato il termine “Home” nel titolo a dare continuità, c’è anche il ribadito astio nei confronti del megacapitalismo egocentrico di Tony Stark in quanto aspetto criticabile di un supereroe e elemento motore del tentativo di vendicativa rivalsa della nemesi di turno (mai sola ma affiancata da altri impoveriti sfruttati), per sottolineare un comune matrice di rivendicazione vagamente politica.
A questa connotazione socio-economica, quasi per mascherarla, si aggiunge l’ovvia dimensione giovanilistica del protagonista, inserito in un contesto adolescenziale con conflitti puberali, e l’effettivo elemento di consequanzialità derivante degli altri film del franchise Marvel con sfruttamento della serialità di base dell’intero universo cinematografico di derivazione fumettistica. Inoltre, la difesa del personaggio di Stark, che ha visto nel giovane Parker il suo erede effettivo e morale, diventa per Spider-Man una questione personale, la necessaria azione di contrasto di chi appanna l’integrità dell’eroe che si traduce nella implicita assunzione di una filiazione sofferta e mai pienamente accettata.
Il film gioca molto sulla ripetizione e sul cliché, sulla banalità apparente della riconoscibilità per offrirsi, infine, non come mera rielaborazione ludica dei modelli noti quanto come variazione e arricchimento consapevole della reiterazione, in funzione di organico stimolo narrativo. Anche la persecuzione da Signora in Giallo di Peter Parker, che trova un disastro ovunque vada come la scrittrice collezionava cadaveri per ogni dove, si confessa infine come falsa coincidenza, asse costitutivo e funzionale della trama cospirativa che anima le azioni di Mysterio e ne riveste le gesta di un’aura fantastica. La prossimità con l’eroe, da elemento pretestuoso e voluttuario, diventa motivo fondante e filigrana di un machiavellico progetto di circonvenzione di minore.
Spider-Man è un film interamente costruito sulle apparenze e sulle false identità, sulla costruzione di eroi fittizi e sul disvelamento di quelli veri, sulla rivelazione della loro identità, anagrafica e morale, sulla mistificazione e manipolazione della realtà, sulla conseguente perdita della verità e della sua stessa percezione senza filtri aggiunti. Se non si vuole scomodare la metafora politica del riverbero delle fake news di una presidenza americana discutibile nei metodi e nei protagonisti, o del commento della deriva di un mondo apatico e credulone che agisce per deficit di attenzione, ci si può accontentare di un dialogo accurato e intenzionale sulla mitologia di base dell’universo di riferimento del MCU, una sua ironica autocritica e il suo contemporaneo sfruttamento per strutturare la trama del film, con piena e divertita coerenza delle le sue componenti perché Mysterio usa a proprio vantaggio gli elementi fantastici mutuati dagli altri film per la creazione di un personaggio posticcio da un immaginario dato per vero, così come la pellicola Spider-Man rielabora i cliché per tradurli in nuovo racconto.
Congegnato come una serie di easter egg di conferme e di sorprese, di rimandi e di varianti, Spider-Man ribadisce perennemente e riverbera in ogni sua parte il concetto di illusione e di inganno, soprattutto nell’uso di una realtà aumentata servizievole o maligna come nella creazione di uno spettacolo di intrattenimento sopra le righe che simula il cinema con i suoi stessi mezzi (proiezione e trucco digitale). E questo gioco delle false apparenze prosegue nel disvelamento di identità segrete nei consueti sottofinali (e nei rimandi a Captain Marvel), nel recupero di attori noti (JJ Jameson interpretato di J.K Simmons – ma con diversa acconciatura – come nella seminale trilogia di Raimi), ammiccando a tutto con ironia ma ricucendo ogni rimando dentro alla trama, arricchendola per aggiunte e postille, note a margine e hyperlink, facendo del film stesso un ipertesto visuale, una falsa realtà aumentata. E per ribadire una diversa prospettiva e lettura degli altri capitoli del MCU, Watts non esita a ripercorrere i passi di Zemeckis in Ritorno al Futuro e a mostrare una scena nota (dalla serie di Iron Man) riscrivendone il senso e cambiandone il protagonista (come già in Endgame tramite il consueto viaggio nel tempo) per sfruttarla come giustificazione comportamentale retroattiva.
Ed è in fondo questa ricerca di una diversa prospettiva la chiave di un film eminentemente scopico, basato sulla vista, sullo sguardo e sulla percezione, siano essi la base del meccanismo di fascinazione dell’immagine del supereroe o motore di innamoramento a distanza, stimolo alla curiosità dei corpi. Il film fa infatti esplicito riferimento al rimbalzo dello sguardo del desiderio che passa da MJ che scruta Peter che osserva Brad che tenta di sedurre MJ, mentre Brad guarda Peter per coglierne le debolezze e sfruttarle a proprio vantaggio. La giostra di sentimenti si traduce in rifrazione dello sguardo, il quale si declina poi, nelle varie incarnazioni del film, in manipolazione della realtà, inganno di mutaforma, rivelazione identitaria. E il costume di Mysterio è costellato di occhi stilizzati, che fissano chi li guarda come un tentativo di incantesimo, e sembrano rimandare all’iconografia massonica dello sguardo celeste (l’occhio della provvidenza), riprodotta sulle banconote americane da un dollaro per ribadire la valenza estorsiva dell’inganno. Il film è tutto elaborato sulla dinamica trasformistica tra soggettive e riprese oggettive, con dissonanze volute nella distorsione della percezione, con lunghe e stroboscopiche sequenze di oggettivazione della soggettiva a mostrare ciò che vede l’ingannato che sprofonda nell’artificio, cercando di risollevarsi e vedere la realtà deformata da una macchina da presa che insegue vortici illusori e vertigini di allucinazioni imbricate, sebbene la regia si limiti a riprodurre questi effetti e non sbilanci mai la narrazione verso distinguibili scarti autoriali. Ma è in fondo questo il meccanismo di messa in immagini seriale televisivo e, ormai, cinematografico, appesantito da trucchi digitali e da una mole di sceneggiatura sempre più ingombrante, in cui l’apporto registico è servizievole, meramente funzionale alla meccanica globale.
Spider-Man, però,mostra il suo senso più intimo come costruzione di un punto di vista, ovvero la base narrativa e sintattica del cinema. Metafilm su metaumani, reali o presunti, la pellicola racconta, senza prendersi sul serio, la presa in giro della percezione, il dietro le quinte dello stesso spettacolo che offre, costruendo fondali turistici posticci come green screen di un viaggio che, da vacanza, diventa presa di coscienza dell’inganno dell’apparenza. Bildungsroman in pillole iridescenti di un adolescente, ragazzo del Queens che scopre il mondo scoprendone la falsità e cercando una più solida verità interiore, Spider-Man Far Form Home incita Peter Parker a guardare con i propri occhi (o con le lenti retro-futuriste di Stark) quanto tutto sia in attesa di una definizione, cangiante quanto un sentimento nato per caso o una colonna di fumo finto, cercando una propria seppur porosa percezione, un punto di vista nella imperfezione permanente del mondo, e ritrovarvi una serenità perduta.
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