Regia di Jon Watts vedi scheda film
Spider-Man: Far from Home. European Vacation.
Pensa a un cinecomic Marvel in cui il supereroe è in vacanza in Europa.
Immagina, puoi.
Ecco, esattamente come te lo immagineresti.
Puntuale come la morte (e come il mega-successo al box office) la visione esotica del Vecchio Mondo tra stereotipi e strizzatine d'occhio (o d'orecchio, vedasi Umberto Tozzi in scaletta).
Peccato non ci siano Clark Griswold, la sua famiglia fuori di testa e quel vorace umorismo demenzial-volgare tanto irresistibile quanto scemo.
Però, hey, abbiamo l'amichevole-coso-di-quartiere che, sotto la cupola di mamma Disney – come sempre prudentissima, attentissima e leziosissima –, dice e fa cose da giovincello simpa in gita tra Venezia, Praga, un paesino olandese e Londra, alle prese con le responsabilità che derivano dai super-poteri (la tireranno ancora per molto?) e con l'eredità del compianto Tony Stark, un fantasma che aleggia fastidioso come uno stalker avvinazzato (il “toccante” video-tributo dedicato a lui e agli altri Avengers deceduti accompagnato da I will always love you della Houston fa cascare le palle. Per chi ce le ha).
Insomma, è un dannato sospiroso, soapoperoso teen-movie, nel quale i sedicenni che lo abitano sono educande timorose (con meno ormoni di quante siano le apparizioni delle fighissime Audi) che viaggiano nel multiverso dell'oltrestucchevolezza senza ritorno: l'amico ciccione trova la morosa, Happy se la intende con zia May (minchia la Tomei, sempre gnocca sempre sprecata), Peter Parker muore (purtroppo no) dietro MJ (una Zendaya “coperta” dalla sua prorompente bellezza).
Certo, tutto nella norma. Lo sai, lo accetti, firmi il patto, ti dissangui da qualsiasi considerazione critica.
Beh, però c'è il sense of wonder, no? Sì, una baraonda ripetitiva e riempitiva di scen(ografi)e roboanti, rutilanti e ruttanti materia digitale ipersatura di effetti e dinamismo caotico, evacuazioni coreografiche vorticose (stancanti e noiose), riprese dopate standardizzate, devastazioni controllate di siti noti (le calli veneziane, il Tower Bridge di Londra).
Insomma, la classica illusione estetico-visiva per gente pronta a “emozionarsi” con (così) poco. Illusione, proprio come la dote di poteri del villain di turno (un Jake Gyllenhaal adattatosi alle esigenze senza sforzo alcuno), un tizio mosso da rivendicazioni generiche risapute e superarmato di tecnologia avanzata che non riesce a eliminare quattro mocciosi sfigati e nemmeno il protagonista quando ne ha l'occasione: hey, ho a disposizione centotré maniere differenti di farlo ma ne scelgo uno complicato con scarse probabilità di successo.
Fottuto genio.
D'altronde il cattivo, l'assai poco misterioso Mysterio, lo dichiara apertamente: «La gente ha bisogno di credere. Di questi tempi crede a qualsiasi cosa».
Eh.
Un portato di menzogne e inganni e facilonerie assortite che costituisce un cortocircuito affascinante e involontario: non servono chissà quali intelligenza artificiale, droni, satelliti ma solo CGI, casino, personaggi macchietta, battutistica innocua, rispetto dei canoni del dannato universo condiviso, una storia qualsiasi, ammiccamenti a getto continuo, intermezzi da spiegone (tipo il servizio giornalistico degli studenti a inizio film), recitazione automatizzata, scenette post-titoli di coda.
E un regista impalpabile come Jon Watts, uno che ha vinto la lotteria e perciò ripaga i propri benefattori con prestazioni da perfetto, ossequioso impiegato del mese.
Sarebbe stato meglio “blippare” cotanta sciocca visione.
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