Regia di Tatsushi Ohmori vedi scheda film
Far East Film Festival 21 – Udine.
Le tradizioni non vanno smarrite. Per evitare di disperdere secoli di riti e insegnamenti, sono fondamentali le indicazioni e la saggezza di chi possiede un pozzo di conoscenza e l’umiltà essenziale per diffondere il proprio sapere. Per questo motivo, gli anziani sono in cima alla lista delle persone da rispettare e ascoltare con la massima attenzione, anche quando affrontano argomenti apparentemente distanti dal produrre un qualunque tornaconto pratico.
Infatti, dietro alle parole e ai modi pacati, sono celati infiniti suggerimenti, propedeutici alla scoperta di se stessi e alla formazione dei giovani, permettendo a quest’ultimi di accumulare esperienze che, sotto mentite spoglie, riemergeranno all’occorrenza. Anche dopo tanti anni e senza avvertimento alcuno.
Michiko (MikakoTabe) e Noriko (Haru Kuroki) sono cugine caratterialmente molto diverse. La prima ha le idee limpide su quel che sarà il suo futuro, mentre la seconda brancola nel buio. Insieme, giusto per ammazzare il tempo, cominceranno a frequentare un corso per imparare la cerimonia del tè, seguendo per mesi, e poi anni, le dettagliate istruzioni della signora Takeda (Kirin Kiki).
Per Noriko diventerà un appuntamento fisso per venticinque anni, durante i quali affronterà i problemi adolescenziali, l’università, i dilemmi lavorativi, il distacco dai genitori e infine l’amore.
Se è vero che non si finisce mai di imparare, c’è chi ha più strada da fare degli altri, vuoi per la fortuna di avere dinnanzi prospettive di lungo termine, oppure semplicemente perché ha perso il passo, rimanendo attardato sulla tabella di marcia.
D’altronde, ognuno ha i suoi tempi di reazione e nessuno può stabilire con precisione quando sbatterà contro gli stimoli che accendono curiosità e passione. Alla fine, non c’è supporto migliore di un insegnante di vita, una persona che, pur essendo esperta di un campo specifico, possieda qualità da trasmettere, successivamente riciclabili.
In Every day a good day, sotto la guida di una puntigliosa signora, interpretata dalla formidabile Kirin Kiki, si respirano aromi di sovente accantonati eppure da riscoprire, per invertire il verso di percorrenza di una civiltà sclerotica che sguazza nell’indifferenza. La disciplina è il perno, intorno a cui ruota la compostezza, comportamenti da impartire e conservare nel nome della gentilezza, evitando di spazientirsi inutilmente. Come un ruscello di montagna segue il suo corso tra le rocce senza frenesia, così una persona deve prepararsi e sistemarsi lungo la direttiva da non mancare, allietare lo spirito e non perdersi d’animo, fino a quando ciò che era oscuro diventerà improvvisamente chiaro (in questo senso, nel film si cita ripetutamente La strada di Federico Fellini).
Pur ricorrendo a ridondanze e ad alcuni passaggi non essenziali, il regista e sceneggiatore Tatsushi Omori trasmette una serenità confortante, segue le stagioni e gli anni, fino a orchestrare il cerchio della vita, toccare con mano la morte e accettare che non siamo niente di più di un granello di sabbia nell’occhio del tempo. Una rivelazione, impreziosita dalla soave e pacata presenza di Kirin Kiki che, per via della sua sopraggiunta morte, suscita ancora più commozione, evidenziando suo malgrado, e una volta di più, quanto le connessioni tra diverse generazioni debbano essere portanti e sfruttate fino al midollo prima che sia troppo tardi.
Rispettoso e terapeutico.
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