Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Nella prima mezz’ora è un finto documentario su come si organizzava un matrimonio alla fine dell’ottocento. A titolo informativo, ben si intende. C’è un certo gusto nella rappresentazione della realtà campestre e rurale con figure atte ad un determinato scopo e via dicendo. Sì, d’accordo. Interessante, ma anche no. Grazioso, sì, ma poi? Finché il film si regge su Inès Sastre non ci siamo proprio: la storiella della ragazza che non vuole maritarsi non sta in piedi, e neanche Avati ci crede più di tanti. Quand’è che spicca il volo? Quando entra in scena Diego Abatantuono, che Avati considera quasi un sex symbol, e con lui il tema del racconto, per nulla banale: che succede quando una ragazza scopre l’amore di cui sempre le era stata negata l’esistenza? Sembrerà una sciocchezza, invece è un film crudelissimo nella sua perfetta parte centrale, in cui ogni cosa sta al suo posto: nonostante lo sviluppo narrativo non sempre intonato (perché Francesca s’innamora dell’uomo venuto dall’America?), il décor avatiano trova una sua ragione d’esistere (la crepuscolare fotografia di Pasquale Rachini, la splendida musica di Riz Ortolani, il reparto scenografico scarno e curato, i costumi pertinenti) in un contesto metaforico ed allusivo (siamo nell’ultimo giorno del secolo), accompagnandosi ad una storia malinconica, delicata, perfino triste. Imperdonabile, però, il finale consolatorio e quasi pittoresco, con il trionfo dei buoni sentimenti. Comunque sia, il film c’è, non è per nulla banale o scontato, e non sorprende che sia piaciuto agli americani che lo candidarono al Golden Globe come miglior film straniero.
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