Regia di Lee Cronin vedi scheda film
Prodotto horror di discreta fattura.Non originale,ma solido nella regia e ottimo nella fotografia
L'incipit è quello classico, per un film del terrore: una madre e suo figlio, in fuga da un misterioso padre, presumibilmente violento, traslocano in una casa isolata, ai margini di una selva oscura, nella meravigliosa campagna della verde Irlanda. Sarah e il piccolo Chris, poco tempo dopo il loro arrivo, scoprono nel fitto della vegetazione, un enorme voragine. Con il passare del tempo, ma soprattutto dopo che Chris scompare misteriosamente per qualche ora, Sarah comincia a notare dei cambiamenti, prima impercettibili poi sempre più evidenti ed inquietanti, nel comportamento di suo figlio. Per giunta s’imbatte in una squilibrata che vive nei paraggi, che le ripete con insistenza ossessiva che quello non è suo figlio, lei muore poco dopo in circostanze a dir poco inquietanti, con la testa seppellita nella terra. Quando poi il bambino, inizia a banchettare con ragni ancora zampettanti, o da prova di forza sovrumana, scaraventando la madre contro le pareti di casa e tanti altri eventi misteriosi si succedono sarà indotta a credere che qualcuno o qualcosa, abbia preso il posto del suo bambino, viene poi a conoscenza di un oscuro segreto, che sembra covare da secoli proprio nelle profondità di quel luogo sinistro. ”L’abisso,” costituisce il suggestivo e ipnotico battesimo del fuoco cinematografico di Lee Cronin che, dopo un lungo apprendistato televisivo, decide di scendere in campo ed esordire al lungometraggio, con un’autentica fiaba nera, che sarebbe piaciuta molto ai fratelli Grimm. Gli elementi ci sono infatti proprio tutti: la casetta sperduta nel bosco, l’inquietante foresta che ospita delle oscure e maligne forze soprannaturali, un nucleo famigliare già privo della componente paterna, in balia di pericoli che non si vedono molto, ma si percepiscono tanto. Cronin, sceglie di puntare tutto sulla suggestione delle brumose atmosfere irlandesi, ricorrendo alla fotografia desaturata di Tom Comerford, opportunamente corroborata dalle dissonanti melodie ansiogene di Stephen McKeon, capaci di connotare di un’oscura e misteriosa “aura” gli avvenimenti. Agli appassionati del genere non sarà sfuggita la somiglianza con un film relativamente recente, Babadook, sia per le atmosfere, che per il messaggio di fondo. Spesso gli horror con protagoniste femminili, si affidano a figure di madri combattive, che sole contro tutti e tutto, lottano per la salvezza dei propri figli. Dal già citato "badadook" , a classici come “Rosemary's Baby” e “L'Esorcista”, sono proprio queste figure femminili, che apparentemente fragili, tirano poi fuori una forza inaspettata, a decretare il successo di questi film, suscitando nel pubblico un' immediata empatia. In “Hole il personaggio di Sarah gestisce da sola la quasi totale presenza in scena e da debole e insicura vittima di abusi, che dubita perfino della sua sanità mentale, si trasforma in guerriera tenace e forte, determinata a salvare la sua creatura. Pur non mostrandoci mai nulla di eccessivamente terrificante ed evitando quasi completamente l'uso di jumpscare, il film riesce comunque a trasmettere un forte senso di straniamento e turbamento allo spettatore. Il pregio maggiore è proprio quello di distribuire, lungo tutta la storia, delle informazioni che non sono mai spiegate e restano opportunamente sospese, come ad esempio la figura dell’ex compagno di Sarah e la cicatrice che lei nasconde sotto la frangetta.Altra nota positiva è quella di scoprire le sue carte il più tardi possibile, facendoci vedere solo all’ultimo, cosa si nasconda in quella voragine, che si è aperta in fondo al bosco. Da una parte metafora dello sprofondare nella follia e nella paranoia, dall’altra simboleggia il mistero della vita stessa, o anche rappresentazione di quella dimensione, inintelligibile dell’altro, di noi stessi.
E sono le zone d’ombra ,le ambigue immagini sugli specchi, così come quelle impresse su di una piccola macchina fotografica, che però ci vengono opportunamente celate, a stuzzicare interesse. La soluzione finale e la discesa della protagonista nel buco lascia più dubbi che certezze, mostrando qualcosa che di fatto non ci viene spiegata, mentre la scena di chiusura, è notevole sia sul piano estetico, nelle inquadrature che dall’esterno si muovono all’interno, che nel significato intrinseco, a rimarcare che la certezza di conoscere davvero chi ci sta accanto non l’avremo forse mai. Naturalmente a fronte di tutto questo, dobbiamo anche constatare che il prodotto non è esente da difetti, ci sono delle vistose incongruenze e sicuramente non spicca per originalità, ma ha una sua cifra stilistica e nell’asfittico panorama dell’attuale cinematografia horror, trova sicuramente un posto d’onore.
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