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Deliria

Regia di Michele Soavi vedi scheda film

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George Smiley

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Deliria

di George Smiley
9 stelle

Primo premio al Festival di Avoriaz nel 1987, Deliria è un inedito "slasher all'italiana", esordio autorevole di Michele Soavi e nuova linfa vitale nelle vene di un genere (l'horror made in Italy) che si stava già avvicinando al capolinea. Ricolmo di spunti metateatrali, è sicuramente un classico da non perdere per gli amanti del genere.

Un gruppetto di ballerini agli ordini del regista Peter Collins sta provando un balletto di cui fa parte Alice. In una sera di pioggia l'attrice, recatasi con Betty (la sarta di scena) in un ospedale per una distorsione, vede in un letto Irving Wallace, uno squartatore di donne, finalmente arrestato e ora sotto controllo. Al rientro a teatro Betty viene assassinata. Da quel momento il gruppo degli attori e ballerini passa ore di terrore nei vasti ambienti del teatro, poiché per ragioni egoistiche il regista ha fatto nascondere la chiave dell'uscita di servizio e - morta subito colei che l'ha nascosta - la suddetta chiave non si trova, mentre Irving Wallace è di nuovo a piede libero...

Che esordio per Michele Soavi! Difficile fare di meglio in un periodo in cui l'horror e il giallo all'italiana erano già in fase calante così come il loro più illustre esponente, quel Dario Argento alla cui corte Soavi ha imparato a dirigere e ha appreso i meccanismi basilari della suspence, facendoli suoi con autorevolezza e con la voglia di chi ha da dimostrare il proprio talento, superando in qualità e originalità anche gli ultimi risultati del proprio maestro. Deliria fin dall'inizio si sgancia dalla tradizione del giallo all'italiana per abbracciare il genere slasher in voga negli Stati Uniti finendo per diventare un notevole ibrido dei due stili, decisamente splatter ma senza nè vena sadica nè eccessi grandguignoleschi; in compenso gli omicidi sono organizzati con macabro senso dello spettacolo e gusto artistico da Soavi, forte anche dell'ambientazione teatrale che gli offre un ottimo mezzo per tenere in apprensione lo spettatore e i personaggi del film, messi in scacco dal fantomatico assassino con l'iconica maschera da barbagianni, il quale si muove nei meandri dietro le quinte intenzionato a portare in scena la sua orrida rappresentazione della morte. 

I punti deboli del film sono ovviamente gli inevitabili cliché del genere slasher, la debolezza della sceneggiatura in alcuni passaggi e la scarsa recitazione da parte di alcuni componenti del cast, mentre David Brandon e la bella Barbara Cupisti offrono ottime prove nei rispettivi ruoli, lui regista antipatico, opportunista e pieno di sé e lei attrice di teatro timida e che cerca di sbarcare il lunario come tante altre nelle sue condizioni. Non sono d'accordo sul giudizio che FilmTv dà della colonna sonora di Simon Boswell e Stefano Mainetti, per me assolutamente valida e soprattutto funzionale per l'atmosfera sospesa e onirica del film.

Soavi parte dunque delineando i personaggi della compagnia teatrale in maniera realistica, avvicinandoci ai loro problemi professionali ed economici, alle loro scaramucce e ai loro scherzi reciproci, per poi mostrarceli mentre vengono eliminati brutalmente uno dopo l'altro in quella che è una marcia della morte dal significato metateatrale: l'assassino è il vero regista dello spettacolo nonché il suo protagonista ed indossa un'inquietante maschera proprio per liberarsi della propria identità e sottolineare che la sua esistenza è finalizzata solo ed esclusivamente alla rappresentazione teatrale. I vari attori sono solo pedine, caratteri, maschere, e tutto ciò viene reso ancora più evidente nella famosa scena in cui l'omicida, terminato il massacro (dal quale si è salvata solo Alice), rimuove la testa a un manichino e la sostituisce con quella del (ex)regista Peter, per poi far partire la musica e andare a sistemarsi al centro del palco in mezzo ai vari cadaveri, seduto in contemplazione mentre accarezza il gatto del custode e si gode il suo spettacolo, lo spettacolo della morte. Ancora più enigmatico il finale in cui, dopo essere stato colpito in testa da uno sparo, rimossa la maschera si gira verso noi spettatori e ci fa l'occhiolino, a ricordarci che è morto solo nella finzione. Il montaggio scorre poi velocemente ad una delle prime sequenze del film, in cui una ballerina suona il sassofono, riconducendo il tutto a una struttura ciclica e determinando la fine dello spettacolo.

Soavi dimostra di aver appreso a dovere la lezione argentiana e di aver tuttavia sviluppato uno stile proprio, ricco di virtuosismi di regia e di citazioni (il finale in questo senso può essere visto come un omaggio ad Halloween di John Carpenter e alla tradizione degli slasher a stelle e strisce in cui l'assassino doveva rivelarsi ancora vivo alla fine del film; sempre di Carpenter vi è una palese citazione di Fuga da New York), oltre che abile nella graduale costruzione della tensione, la quale cresce inesorabilmente e a ritmo costante per tutto il film. Il regista si concede anche un cameo nel ruolo di uno dei due poliziotti in automobile al di fuori del teatro. Bello infine il parallelo tra i pesci in un acquario e gli attori intrappolati nel teatro alla mercé di un "pesce più grosso", letteralmente sommersi dalla pioggia battente (il titolo di lavorazione era Aquarius).

Primo premio meritato al Festival di Avoriaz, Deliria è un piccolo cult dell'horror all'italiana e un grande classico per gli appassionati del genere da non farsi scappare.

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