Regia di Lulu Wang vedi scheda film
Dovrei sedermi sul tappeto da yoga e flettere gli arti oppure incrociare le gambe e lasciarmi rapire da un mondo parallelo appartenente al buddhismo zen. Dovrei curare lo yin e lo yang e magari sistemare le stanze per far si che l'armonia confluisca tra le pareti di casa, irradiando di luce e felicità la mia esistenza votata al feng shui. E poi, dopo un esercizio di tai chi mattutino e l'uso profondo del diaframma, potrei essere pronto ad immergermi nelle pieghe del pensiero mistico orientale. Lulu Wang potrebbe aver fatto una simile trafila prima di raccontarci questa storia che riemerge dal passato di donna cinese emigrata con la famiglia negli Usa all'età di sei anni. La verità è che da occidentale nudo e crudo, abituato ai conflitti tra la spiritualità cristiana e la razionalità darwiniana, non sono riuscito a farmi piacere questa "bugia buona" raccontata da una cinese che di cinese ha solo il contorno degli occhi. Lulu Wang è americana fino al midollo e ha stuzzicato il desiderio occidentale di coltivare una dimensione estremamente personale di spiritualità che spesso viene ammantata da un'aurea di esotismo e per ciò di maggior bellezza, originalità, misticismo.
Gli americani vogliono, egoisticamente, star bene e allora fanno affidamento alle discipline d'Oriente e corrono alla ricerca di storie come questa in cui una dolce e volitiva nonnetta cinese viene coccolata dalla famiglia mentre un cancro al quarto stadio la sta consumando, ignara di ciò che le sta succedendo, poichè la sorella, i figli e i nipoti hanno optato per un cocciuto silenzio secondo la tradizione cinese. Le hanno raccontato una frottola (una macchia benigna nelle lastre) che qui non si berrebbe nessuno nemmeno con l'imbuto conficcato in gola. Dicono i cinesi che raccontare la verità sarebbe scaricare il fardello della malattia sulle spalle della persona cara. La bugia invece lascerebbe l'animo del paziente libero di affrontare la situazione con serenità mentre toccherebbe ai famigliari affliggersi per la fine di una vita cara. Un pensiero molto affascinante e non privo d'amore. Personalmente faccio fatica a condividere pienamente la logica e mantengo lo scetticismo di fondo condiviso all'inizio dalla giovane Billie chiamata a mantenere il riserbo con l'adorata nonna in fin di vita. Forse avrei trovato quest'operazione più consona se raccontata dal di dentro, da un autore cinese, anche se si sarebbe perso l'aspetto interessante del confronto tra Cina e Stati Uniti, tra cinesi ed immigrati di seconda generazione ormai adattati ad uno stile di vita diverso da quello d'origine. Il fatto è che Wang mi sembra si sia adattata piuttosto bene al sogno americano ed abbia trattato la materia per compiacere il pubblico pagante offrendo quanto desiderato senza troppa intenzione di approfondire il pensiero spirituale.
La gestione Lulu Wang puzza di furbata e ciò risulta ancor più evidente mettendo a confronto questo film con il russo "The man who surprised everyone" dove il tema della malattia terminale è visto sotto un'accezione fantastica e soprattutto simbolica che lascia spago al pensiero interpretativo, quanto "the Farewell" si lascia prendere dalla concatenazione di cause effetti tipici del pensiero verticale, alias occidentale, alias razionale, ovvero non orientale, tranne forse nel finale in cui la protagonista sembra mollare la pezza per abbracciare gli insegnamenti della vecchia genitrice. Diamo agli americani quello che vogliono, dunque. Vogliono speranza, diamogli un appiglio per riempire il vuoto carsico di un'anima spesso abbandonata per seguire l'edomismo più puro. Vogliono sentirsi leggeri, diamogli la leggerezza. Poco importa se alla fine di questo film crederanno sufficienti quattro esercizi al mattino e un profondo respiro per eliminare le tossine del cancro. Aggiungeremo nuovi analfabeti funzionali alla già pingue lista dei no vax, dei creazionisti, dei terrapiattisti e di quelli che già prima svilivano la scienza medica con pratiche da cialtroni. Le obiezioni mosse dalla giovane nipote Billi, che intraprende il viaggio dagli Stati Uniti per andare a trovare la nonna, vengono presto taciute. Il diritto ad essere informato del proprio stato di salute, di poter sistemare le proprie faccende e i propri carichi pendenti finchè si è in vita è presto abbandonato per dare maggior risalto ad un pensiero orientale spesso tradito, ridimensionato e maneggiato ad arte per confluire nel proprio relativismo. Se la serenità mentale è l'humus naturale su cui si gioca la partita contro la malattia, su questo non vi è alcun dubbio, non meno importante è la coscienza di ciò che si sta vivendo. Nell'abbracciare le filosofie orientali dovremo fare attenzione a non snobbare la seconda necessità a favore della prima.
Il premio del pubblico al Sundance parla di speranza ed illusioni: la speranza di sopravvivere a se stessi e l'illusione di poterlo fare senza fare i conti con la propria vita. Un po' comodo. L'unica cosa comune a due mondi antitetici, quello orientale e quello occidentale è la solitudine dell'uomo chiamato alla fine del viaggio che Wang consegna nello sguardo spaurito di in uno sposo ubriaco, sacrificato allo sceneggiato famigliare, nella omologata e malinconica serie di alveari di cemento pronti ad annientare il vero senso della famiglia e nella sofferenza degli immigrati in terra straniera.
Chili Tv
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