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Letizia Battaglia - Shooting the Mafia

Regia di Kim Longinotto vedi scheda film

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La recensione su Letizia Battaglia - Shooting the Mafia

di yume
9 stelle

Donna ricca di vita, di bellezza, di amore , una donna libera, innamorata del mondo e della vita in anni in cui era tutto molto difficile, in un mondo dove era meglio coprirsi occhi, naso, bocca.

Letizia Battaglia

Letizia Battaglia - Shooting the Mafia (2019): Letizia Battaglia

Una vita cominciata a quarant’anni, una macchina fotografica, un amore.

Letizia Battaglia si racconta: “Prima non ero una persona… la mia vita è stata buona, e sono contenta di essere ancora combattiva, di fronte alle prepotenze, alle ingiustizie…”

Poi guarda avanti: “ c’è una foto da fare lì, un bambino con la testa nell’acqua…

Una vecchia fontana nella Palermo “bandita”, come la chiamava Tornatore, un bambino che gioca.

scena

Letizia Battaglia - Shooting the Mafia (2019): scena

Letizia amava i bambini, ne ha fotografato tanti, che giocano a pallone, che guardano seri l’obiettivo, allineati vicino alle madri in vecchie stanze dove si viveva in otto, dieci, e più.

Li ha fotografati anche mentre giocano “a fare la mafia”, purtroppo, sognando di diventare importanti come quegli “uomini d’onore”, fumano, giocano a carte, contano i soldi.

Ma lei crede che la Sicilia potrà avere un futuro con loro, lo spera, ci crede.

Letizia Battaglia

Letizia Battaglia - Shooting the Mafia (2019): Letizia Battaglia

Con l’eterna sigaretta fra indice e medio, caschetto color carota e tante rughe, parla e intanto continua a guardare con il suo cine-occhio quel mondo che solo il suo sguardo di donna ha messo a fuoco con le inquadrature giuste.

Shooting the mafia (2019) di Kim Longinotto è l’ultima inquadratura della sua vita, due mesi fa Letizia è morta a 87 anni.

Longinotto l’ha seguita in giro per quella Palermo che Letizia ha amato e odiato, una città da cui, dice, .“volevo sempre andar via e sono rimasta sempre qua”.

Ma dopo Falcone e Borsellino ha detto “basta, ci sono cose che non voglio più vedere, troppo sangue, troppo dolore”.

Coraggiosa, sì, lo era davvero. Unica donna in quella terra dove tutto  emargina la donna, la violenta, la nega, la chiude in gabbie di figlia, moglie, madre e butta la chiave.

La “persona” resta fuori.

Un matrimonio a sedici anni per fuggire da una famiglia e cacciarsi in un’altra non meno repressiva, non meno disposta a fare carta straccia della sua libertà.

Tre figlie, guarda caso tre femmine, un po’ di psichiatrico per rimettersi in sesto, e via, un bel tuffo nella vita, con quel coraggio e tanta bella incoscienza, la sua fortuna.

Il coraggio uno non se lo può dare”, diceva Don Abbondio.

E’ vero, bisogna nascerci e un tocco di fortuna fa il resto.

Letizia ce l’ha raccontata la sua fortuna, era agosto e tanti giornalisti erano in ferie.

Alla redazione de L’ora di Palermo avevano bisogno di qualcuno e le diedero  qualche incarico di poco conto.

Bastava, allora, per vivere, dopo uno scandaloso divorzio.

Poi vennero la fama, il successo, il rischio e tanto altro amore.

Ne ha avuti tanti, di amori, colleghi fotografi, spesso molto più giovani, era impossibile non innamorarsi di lei, così spavalda, unica, e anche bella, se guardiamo gli spezzoni di filmini che Longinotto ha raccolto.

scena

Letizia Battaglia - Shooting the Mafia (2019): scena

Ma tutto questo è solo corollario, dire Letizia Battaglia è dire mafia, un reportage fotografico shock, scatti che documentano quello che non avrebbe saputo raccontare scrivendo e che nessuno ha raccontato mai così.

Per anni, quelli più tremendi, quelli di fino a sette morti al giorno, Battaglia ha percorso strade e vicoli di Palermo, da sola o con un collaboratore. A terra c’erano lenzuola bianche macchiate di rosso, poliziotti intorno, curiosi, la città era ostaggio della mafia.

I nomi dei morti erano sconosciuti, prima, poi arrivarono i nomi noti.

Era guerra allo Stato e faida interna, era una corsa all’oro che non badava a mezzi.

Capire cos’era la mafia non era da tutti, rivelare che controllava i macelli e l'industria funeraria,  anche quella dei poveri, il traffico di droga e ogni settore della vita politica e imprenditoriale, che la morte era la sua moneta di scambio, bisognava dirlo, ma soprattutto farlo vedere.

Nella piazza di Corleone Battaglia un giorno allestì pannelli con grandi foto. La piazza si svuotò.

Ora la voce che racconta e commenta è la sua; quando non appare lei ci sono le sue immagini, foto e video. E' il collage di un regno che la violenza ha reso quasi mitico ma che lei sfronda di ogni alone e riporta alla rozza sottocultura di un pezzo di società primitivo, selvaggio e ignorante.

La mafia era un “cafone” come Totò Riina che ordinava quelle due morti che ancora piangiamo trent’anni dopo; era Luciano Liggio, un damerino che rilasciava interviste con l’aria del prof universitario; era Bernardo Provenzano, quello dei “pizzini”, un ometto con un sorriso cattivo, quarantatre anni di latitanza nella campagna di Palermo, in un casolare sporco, una baracca.

Ma perché non godersi le ricchezze accumulate? Non importava, era il potere che contava; in Sicilia si dice “Cummannari è megghiu che fottere”.

Lo squallido Riina portato alla luce dei riflettori quando i morti ormai non potevano risorgere, vestito come un contadino dietro quelle sbarre, tozzo, ignorante, Riina era vissuto in centro città con moglie e quattro figli.

E nessuno vedeva.

Un sicario ammazza un uomo fuori da un negozio, escono due donne e non vedono niente, filano via.

"Non vogliono cambiare!" gridava la vedova al funerale di Falcone.

Non c’è nulla in cui giri denaro in cui non ci siano le mani della mafia” dice Letizia.

Bisognava che lo dicesse Falcone?

E che per questo fosse ucciso?

scena

Letizia Battaglia - Shooting the Mafia (2019): scena

Battaglia è stata soprattutto amore, normale che una donna così trasmetta amore da ogni ruga, da ogni sorriso.

Quello che fotografa non è solo la morte per mafia, è il suo terreno di coltura, la città povera dove famiglie con tanti bambini vivono in una stanza e le donne hanno il volto di Madonne piangenti del Cinquecento.

Il film segue Letizia che racconta degli anni bui, quando andare in giro a fotografare era mettere in gioco la vita, essere costretta a farsi largo a gomitate per guadagnarsi uno spazio tra i maschi.

Quando lei ha detto basta all’orrore, non sono più le sue foto ma i filmati celebri a continuare la storia, le folle urlanti contro i mafiosi dentro la Cattedrale, quel cerchio che si stringe intorno al Presidente Scalfaro che riesce a fatica a risalire in macchina dopo il funerale, il capo della Polizia Parisi sudato e atterrito, la giovane sposa del poliziotto morto che piange: “Mafiosi inginocchiatevi, chiedete perdono”.

scena

Letizia Battaglia - Shooting the Mafia (2019): scena

Non si esce indenni da questo film, si fa una conoscenza indimenticabile, purtroppo postuma.

Nel 2019 a Venezia, ai Tre Oci, il primo impatto con la sua fotografia così nuda, semplice, sconvolgente.

Oggi la sentiamo parlare, muoversi in giro, la vediamo nei filmini in super8 tanto in voga negli anni ’60,

Era una donna libera, innamorata del mondo e della vita in anni in cui era tutto molto difficile, in un mondo dove era meglio coprirsi occhi, naso, bocca.

Ci sono foto che Letizia non ha fatto, non è riuscita a fare, anche se era lì, arrivata di corsa.

Falcone e Borsellino, le foto non fatte le pesano dentro, come avesse mancato di rispetto.

Sappiamo che non è così, c’è un limite e bisogna rispettarlo. Letizia sa cos’è il rispetto, quello vero.

Questa donna ricca di vita, di bellezza, di amore ha attraversato questo film raccontandoci una vita per cui, dice “ non ho sensi di colpa. Può non  essere piaciuta, a un marito, a un figlio, ad altri. Ma era un lavoro, un impegno.

Ma non mi rompano i coglioni, io voglio continuare a vivere fino a che respiro. Sento una potenza nella mia testa che non ho mai avuto.  

Io trovo che è bello avere questa età, è bello, non mi manca niente, sono lucida.

Non temo neanche la fine, non temo niente, sono così forte che non temo neanche la fine.”

E così Letizia ci lascia con un sorriso, mentre Mina va con Il cielo in una stanza.

 

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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