Regia di Pippa Bianco vedi scheda film
L'esposizione insistita della lotta interiore di Mandy contro il suo fantasma, della sua sofferenza e della sua forza, resta fine a sé stessa, e mostra presto la corda perché poco supportata da una sceneggiatura dal fiato corto, che latita e si attorciglia su sé stessa.
Mandy si sveglia di notte, riversa in terra sul giardino davanti casa: non ricorda cosa sia successo, né chi l'abbia portata lì, ma una volta entrata scorge un livido sul proprio braccio sinistro. La mattina, a scuola, gli amici la fermano chiedendole come stia e qualcuno scherza sul fatto che sia ancora viva, mentre le compagne del basket notano un altro livido, stavolta dietro la schiena. Bastano poche ore, e tra i messaggi sul suo telefonino salta fuori un terribile video che sta diventando virale nel quale lei, priva di sensi, viene molestata ad una festa da ragazzi di cui non si vede il volto. Scopertane l'esistenza, Mandy inizia ad indagare per riuscire a capire cos'è accaduto dopo che ha perso conoscenza, ritrovandosi, una volta fatta denuncia su consiglio dei genitori, al centro di un caso mediatico che la porta ad essere invisa nell'ambiente scolastico.
La violenza sulle donne ai tempi del voyeurismo tecnologico e la condivisione non autorizzata, via internet, di materiale con contenuti sessuali espliciti: questi sono i temi che la regista Pippa Bianco mette in scena in Share, riprendendo l'omonimo corto che già le aveva fruttato un premio a Cannes nel 2015. Lo fa con mano sicura e attenzione a mantenere un'atmosfera claustrofobica, ma ostinandosi a tenere il proprio focus fisso sul lato psicologico della protagonista (ben interpretata dall'esordiente Rhianne Barreto), della quale descrive egregiamente il senso di isolamento ma alla quale, in fase di scrittura, manca di fornire il supporto di uno scavo vero sulla storia personale, inibendo di conseguenza al film un qualsivoglia crescendo emotivo, lasciandolo carente nella descrizione del contesto e anche privo di un minimo approfondimento dei personaggi secondari.
L'esposizione insistita della lotta interiore di Mandy contro il suo fantasma, della sua sofferenza e della sua forza, resta così fine a sé stessa, e mostra presto la corda perché poco supportata da una sceneggiatura dal fiato corto, che latita e si attorciglia su sé stessa dando l'impressione che la regista non sia riuscita a percorrere del tutto la distanza che separa un cortometraggio da un film di 90 minuti.
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