Regia di Julius Onah vedi scheda film
Luce è un ragazzo nero adottato attorno ai dieci anni da una famiglia bianca, ha un passato terribile come bambino soldato in Eritrea, arriva negli USA, la sua vita cambia radicalmente e diventa studente modello di liceo grazie alla dedizione dei genitori e alle sue capacità di rappresentare il sogno americano, superando comunque i traumi di adattamento.
Tratto da una pièce teatrale, ne conserva tutto il fascino colloquiale e comunicativo, cercando proprio di esaltare qualità e controindicazioni di rapporti complicati, ricchi di sottintesi ed equivoci, sfumature ed incomprensioni.
Un film difficile che cerca di entrare nelle pieghe più recondite di ogni protagonista: Luce studente pressato dalle aspettative (“qui puoi essere solo un santo o un mostro”), la madre pronta a proteggerlo contro tutto e tutti dopo riaverne plasmato gli equilibri di un’adolescenza traumatica, l’insegnante di Storia, nera anche lei, protagonista integrata dopo le battaglie anni 60, il padre che probabilmente avrebbe preferito una famiglia classica e un figlio naturale, i suoi compagni di scuola, integrati ma anche no, l’ex ragazza asiatica, dalle molteplici sfaccettature.
E tutti affrontano problematiche a volte intime e tormentate: Luce è intrappolato nello stereotipo di “quello che ce la fa”; la mamma lo vede quasi più di un figlio, una creatura plasmata a dispetto delle circostanze avverse; il papà lo aspetta al varco di qualche eventuale debolezza; la professoressa di Storia invece vive un dramma parallelo con la sorella malata di mente ed esalta Luce come esempio di rivalsa definitiva; e Stephanie, l’ex ragazza, che ha subito il trauma di una violenza sessuale dai suoi compagni di scuola.
Basterà un tema su un eroe della resistenza pan-africana, ed il ritrovamento di fuochi artificiali e illegali nell’armadietto di Luce, ad innescare una serie di sospetti e ritorsioni che vedranno tutti più o meno protagonisti, ognuno a difendere la propria identità, le proprie convinzioni, il proprio personalissimo punto di vista.
La pellicola poi non fa che lanciare ami e disseminare indizi , segnali, avvisaglie, spunti di analisi, tracce e apparenze; spinge anche lo spettatore a ipotizzare un punto di vista, a volte forse ancora più contorto della semplice verità, che comunque semplice non è mai.
E la narrazione finale non scioglie enigmi, vuole lasciare il pubblico col beneficio del dubbio, di una propria, personale, interpretazione, scendendo ancor di più al livello del messaggio filmico, che non può essere mai netto e definitivo, ma si lascia trasportare da sensazioni e valutazioni personali.
Questo per me il pregio maggiore di una pellicola che stuzzica, crea ambiguità, sospetto, malanimo, e non rappacifica affatto, fino all’ultimo fotogramma.
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