Regia di Alma Har'el vedi scheda film
Festa del Cinema di Roma 2019 - Selezione ufficiale.
A stare con lo zoppo, s'impara a zoppicare. Le frequentazioni condizionano l'individuo, arrivando al punto di segnarlo indelebilmente qualora siano assidue e cristallizzate su una posizione dominante.
Nello specifico di un rapporto tra padre e figlio, quest'ultimo non può che assorbire come una spugna gli input che provengono dall'alto.
Proprio da questa scuola di vita in veste casalinga, deriveranno buona parte delle virtù e criticità che lo definiranno come adulto.
Da bambino, Otis (Noah Jupe) è già un attore in erba, mentre in casa il rapporto con suo padre James (Shia LaBeouf) è burrascoso, con esiti imprevedibili in ogni disputa aperta, per quanto quasi tutti i contenziosi finiscano malamente.
Una volta cresciuto, Otis (Lucas Hedges) paga lo scotto di un'infanzia tribolata. Il lavoro con il cinema continua a premiarlo ma nel privato combina un guaio dietro l'altro, fino a essere costretto a soggiornare in un istituto di recupero.
Honey boy - pellicola insignita al Sundance Film Festival con il Premio Speciale della Giuria - è un puro distillato delle esperienze personali di Shia LaBeouf. Un personaggio controverso, inizialmente star assoluta in blockbuster dal richiamo planetario (Transformers, Indiana Jones e Il regno del teschio di cristallo), in seguito divenuto improvvisamente imponderabile e sfuggente, scegliendo opere provocatorie (Nymphomaniac) e indipendenti (American honey), il quanto più possibile lontane dal sistema mainstream.
In questo film, crea un cortocircuito eclatante, confermando tutta l'irrequietezza per cui è ormai riconosciuto. Infatti, si addossa il gravoso incarico - soprattutto per lui, che rivive un passato travagliato - di interpretare suo padre, protagonista in negativo di un racconto di formazione che ha connotati più vicini alla distruzione.
Il racconto è realmente aspro, apre delle fessure speranzose ma subito dopo rimette la pratica su binari ruvidi. Del resto, l'esposizione full frontal non risparmia plateali sottolineature di spregevolezza, con sporadici, e quindi affettuosi, angoli di comprensione, che emergono tra le pieghe del disagio, nelle retrovie degli Stati Uniti, fuori dal giro, lontano dai riflettori.
Contemporaneamente, la configurazione zigzaga su un doppio piano temporale - Otis bambino e Otis adulto - collegando con precisione gli stimoli provenienti dai due fronti in un percorso dal significato inequivocabile.
Il risultato finale consiste in un film scevro da qualunque timidezza. Un'autoritaria conferma dell'integrità di Shia LaBeouf: attore istrionico e splendidamente intrattabile, personaggio senza peli sulla lingua e uomo ammaccato dalla concatenazione dei traumi subiti che ha deciso di vuotare il sacco.
«Ciò che siamo oggi è la diretta conseguenza di quello che eravamo ieri».
Brutalmente schietto.
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