FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2019 - SELEZIONE UFFICIALE
Figli che interpretano i propri padri in film che aiutano l'ex figlio ed ex bambino prodigio dello star system hollywoodiano, a liberarsi della tentazione sempre palpabile di odiare senza rimedio il proprio genitore per l'egoismo e la superficialità con cui egli ha intrapreso il suo mestiere e dovere di padre, affrontando di petto e con orgoglio ignorante l'affido di un figlio in un'età così complicata come lo è quella adolescenziale.
Shia LaBeouf è sempre apparso una incorreggibile, talentuosa testa calda, rissoso, irascibile, incontenibile ed appassionato, in grado di commuoversi sino al pianto senza controllo quando lo vidi di persona per la prima volta a Venezia 2015 durante la proiezione in Orizzonti del film di Dito Montiel, intento ad affrontare l'applauso della folla per la sua intensa interpretazione in Man Down.
Ora, grazie a questo intimo e in un certo senso delicato Honey boy, nato da una sceneggiatura dello stesso autore tratta dai propri drammatici ricordi autobiografici di una infanzia tribolata e sballottata, ci facciamo una ragione più compiuta del contesto e del terreno ideale in cui ha attecchito questa sua insofferenza latente che lo stesso pare aver ora finalmente elaborato, trovando la forza di trasformare il rancore ed il risentimento in una sorta di complicità affettuosa.
La stessa che la giovane star che fu appare provare nei confronti del padre balordo che ha scelto di crescerlo, nonostante l'indigenza iniziale e nonostante le strane scelte di vita verso cui il padre sembra diretto anche quando i soldi finalmente finiscono di essere un problema da colmare.
Attraverso le nevrosi e le insicurezze dell'attore ormai adulto (interpretato da Lucas Hedges), il film, diretto dalla documentarista di origine israeliana al suo debutto in un film narrativo Alma Har'el, torna al passato per analizzare i tratti di un rapporto balordo e insolito, disordinato ed inopportuno, ma che è anche contraddistinto da un potente senso reciproco di attaccamento che riesce a far soprassedere al bimbo, a tutte le incongruenze di una avventata e troppo improvvisata gestione genitoriale paterna.
Ottimo Shia LaBeouf nel ruolo di suo padre, volgare, grezzo, aggressivo, ma anche tanto umano.
Perfetto ed espressivo come sempre il divetto dall'aria da angioletto dolente Noah Jupe, già apprezzato in Suburbicon, Wonder, e in A quiet place, qui perfetto a rendere con naturalezza la figura di vittima per eccellenza, bersaglio lucroso su cui si avventano le case produttrici utilizzandolo senza scrupoli come un bersaglio (la scena della torta in faccia non è certo stata concepita per caso), ed un padre amorevole ma incapace di gestire adeguatamente la follia incontenibile che lo muove.
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