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Velvet Buzzsaw

Regia di Dan Gilroy vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Velvet Buzzsaw

di mck
6 stelle

“Il giudizio andrebbe giudicato” (aka: “Chi controlla i controllori?”), ovvero: “All the Dease in L.A.” (con prologo a Miami).

 

Velvet BuzzSaw” - a mezza via tra “le Vacanze Intelligenti” di Alberto Sordi (in “Dove Vai in Vacanza?”, 1978) e “the Square” (2018) di Ruben Östlund - non è un horror, non è un grottesco, non è un arty. Insomma: non-è? Beh, no. È-icchia...

“Something truly god damn strange is going on here!” 

Lo sceneggiatore (FreeJack, Chasers, the Fall, Real Steel, Kong: Skull Island) e regista di propri script (il mesto “NightCrawler”, quella che rimane ad oggi la sua opera migliore, “Roman J. Israel, Esq.”, e questo “Velvet BuzzSaw”) Dan Gilroy, fratello minore di Tony [sceneggiatore per altri registi (Dolores Claiborne, the Bourne Identity / Supremacy / Ultimatum, State of Play, Rogue One, the Great Wall) e regista di proprie sceneggiature (Michael Clayton, Duplicity e, scritto col fratello, the Bourne Legacy)] e gemello di John, montatore (per i due fratelli, come qui, e Pacific Rom, Suicide Squad, Rogue One), alla sua opera terza, complice il carta bianca di Netflix, svacca allegramente.  


“Tutta l'arte è pericolosa.” [Tutta la critica è pericolante e pen(s)osa.]  

 

 

Nel vasto campo delle Opere d'Arte Maledette (con derivazioni fantastiche o no), senza scomodare il backovic-carpenteriano “la Fin Absolue du Monde”, in ambito recente si pensi a “Ostatnia Rodzina” (the Last Family) di Jan P. Matuszynski su Zdzislaw Beksinski. Ma ciò che si avvicina più al film di Dan Gilroy, non per tono ma per tematiche, è senz'altro il buon “Duma Key” di Stephen King.

“La critica è così riduttiva ed estenuante.”

Jake Gyllenhaal (Donnie Darko, Brokeback Mountain, Jarhead, Zodiac, Brothers), la cui carriera recente è quanto di più eterogeneo si possa immaginare [il dittico villeneuvesco (“Enemy” e “Prisoners”) e l'esordio dietro alla MdP di Dan Gilroy (“NightCrawler”), il blockbuster puro (il sequel - Far from Home - dell'ennesimo reboot - HomeComing - relativo a SpiderMan ad opera di Jon Watts all'interno del Marvel Cinematic Universe officiante l'inizio della “Fase Quattro”), il mainstream più (“End of Watch” di D.Ayer, “Southpaw” di A.Fuqua, “Everest” di B.Kormakur) o meno (“Source Code” di Duncan Jones - in cui compare il Cloud Gate di Anish Kapoor -, “Demolition” di J.-M.Vallée, “Life” di D.Espinosa, “Stronger” di David Gordon Green) muscoloso, il cinema più (“the Sisters Brothers” d J.Audiard) o meno (“Nocturnal Animals” di Tom Ford) d'autore, l'indie/sundance (“WildLife” di Paul Dano) e lo sperimentalismo grottesco/iperreale by Netflix (“Okja” di Bong Joon-ho, e, ma solo in parte, questo “Velvet BuzzSaw”)], con questa performance appena sfornata non raggiunge le inusitate vette del Johnny Depp di “Mortdecai” e “Tusk”/”Yoga Hosers”, ma insomma...

“Noi non vendiamo beni duraturi, noi vendiamo percezioni. Fragili come bolle di sapone.”

Completano il cast, tra i resisi defunti la Rhodora di Rene Russo (moglie dell'autore; “Get Shorty”, “NightCrawler”), punita dal titolante tatuato ricordo simbolo di quand'er'ancora un'artista, la Gretchen di Toni Collette (“the Sixth Sense”, “About a Boy”, “In Her Shoes”, “United states of Tara”, “Hereditary”, “WanderLust”) e la Josephina di Zawe Ashton (“WanderLust”), e tra i sopravviventi la Coco di Natalia Dyer (“Stranger Things”) - che si salva perché artista non lo è mai stata - e il Piers di John Malkovich (Being…), che si salva perché per il momento, artista, lo sta ancora ridiventando, immerso nel processo creativo (dopo aver pittato uno dei quadri più brutti mai visti dai tempi di Mutandari e Staccolanana), pur se (es)temporaneo, tra Pollock, Miró e (resi sinuosi) Mondrian in versione mandala monocromi ed Ennio Doris autografi.   

 

 

“Scrivere di musica è come ballare di architettura.” 

Personaggio ed opera d'arte a sé stante: la magnifica fotografia di Robert Elswit [oltre ai due fratelli Gilroy, tutto P.T.Anderson, e “Good Night, and Good Luck” e “Suburbicon” (G.Clooney), “Syriana” e “Gold” (S.Gaghan), “the Burning Plain” (G.Arriaga), “the Men Who Stare at Goats” (G.Heslov), “the Town” (B.Affleck), “the Night Of” (R.Price, S.Zaillian, J.Marsh, P.Moffat)].

Ottimi trucchi scenici artigianali [à la “Confessions of a Dangerous Mind”: il paragone m'è sorto immediato, e poi scopro che, toh, lo scenografo è lo stesso, il veterano (due Spielberg - “E.T.” e “Always” -, tutto Clooney e il prossimo “1906” di Brad Bird) James D. Bissel], coadiuvati dal digitale.

Musiche di Marco Beltrami e Buck Sanders. Le opere di Dease sono create - dipinte su tela e cartoncino - da Saxton Brice.
Nel film compaiono reali pitture, installazioni e fotografie di Lucian Freud, Jeff Koons, Andy Warhol, Andreas Gursky...

“A bad review is better than...”. No review.

* * ¾ (***) - (6)     

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