Regia di Dan Gilroy vedi scheda film
Velvet Buzzsaw – La Recessione
Ovvero: Radical chic amanti dell'arte muoiono di noia.
Sono anni che i film horror riciclano le idee, portando sullo schermo noia e scontatezza. E' sempre più difficile trovare film che dèstino un minimo di interesse. Leggendo la sinossi di Velvet Buzzsaw, però, sembrava che il connubio arte moderna e cinema horror messo giù come pseudo-critica al mondo dell'arte contemporanea potesse funzionare. La pellicola ci presenta subito il personaggio di Jake Gyllenhall, un critico d'arte con tutti gli stereotipi del caso: stronzo, saputello e anche gay (più o meno). I giudizi di questo critico sono temuti da tutti, con una parola può distruggere o lanciare carriere, così gli artisti e i galleristi sono soliti leccargli il culo per ingraziarselo. Una delle sue leccaculo di più alto livello, Rene Russo, ci viene presentata come una gallerista dal passato punk. Cosa sia una gallerista punk e cosa serva al film che questa donna da giovane sia stata trasgressiva non lo si capirà mai, e sarà pressoché inutile ai fini della trama. Per lei, comunque, lavora Zawe Ashton, attrice inglese in ascesa, che dopo aver dimostrato di essere un poco sfigata e incompetente, in due scenette viene colpita dalla botta di culo della sua vita: scopre il vicino di casa morto sul pianerottolo. Voi direte: e questa la chiami botta di culo? Aspettate. Nell'appartamento del defunto trova infatti una marea di dipinti che, a priva vista, intrigano molto e che una volta portati in galleria si confermano dei capolavori che ammaliano le persone. Ma dove sta l'horror e il thriller nel vedere un critico insopportabile & company che lodano dei dipinti? Praticamente a metà pellicola, scopriamo che i quadri di questo artista defunto uccidono al gente. Voi direte, perché? Sono stati dipinti con il sangue di indiani americani? Lo studio dell'artista è stato costruito su un cimitero indiano che a sua volta era stato costruito su un cimitero bulgaro? No, l'artista voleva che i suoi quadri venissero distrutti perché suo padre lo maltrattava ed era un malato di mente. Se questa non vi sembra una scusa convincente o vi sembra c'entrare poco un cazzo, lamentatevi con gli sceneggiatori perché questa è la vera motivazione che viene data dal film. Niente ulteriori spiegazioni, saranno le immagini che ci racconteranno tutto, no? Ma come ovvio, le immagini non ci raccontano una beneamata minchia, mentre i vari personaggi introdotti nella prima parte del film muoiono nelle maniere più banali immaginabili, e Jake Gyllenhaal prima di schiattare impazzisce per un visto che a quanto pare è la cosa che gli viene meglio da fare dietro al cinepresa viste le ultime pellicole. Si prosegue verso il banale finale dove ovviamente tutti le persone coinvolte muoiono tra la noia degli spettatori. In pratica Velvet Buzzsaw è un simil-Final Destination per radical chic dell'arte moderna banale, noioso ma che soprattutto ci lascia con una domanda: ma il personaggio secondario interpretato da John Malkovich a che cazzo serviva veramente? Viene introdotto in maniera pompata, non serve una cazzo ai fin della trama e soprattutto la sua story-line nella pellicola si perde nel nulla. In conclusione: Velvet Buzzsaw è l'ennesima pretenziosa merda targata Netflix, che ha quanto pare butta i soldi in qualsiasi stronzata basta che ci siano un paio di attori famosi, come già capitato, ci mostra un prodotto prolisso e noioso che arranca per ben 113 minuti causa una trama poco coerente con tanto di finale aperto di rara banalità, ennesima pellicola da dimenticare
per insulti anche non costruttivi.
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