Regia di Scott Z. Burns vedi scheda film
Festa del Cinema di Roma – Altri eventi.
Mentre i comuni mortali dormiamo sonni tranquilli, c’è chi travalica regolarmente i limiti imposti dalla legge senza chiedere il permesso a nessuno, in barba alla costituzione vigente. Magari anche mosso da finalità umanamente condivisibili ma con mezzi che non conducono in un porto attendibile, rischiando di arrivare a risultati contraddittori, per non dire sballati.
Fortunatamente, c’è chi ancora oggi, nonostante intralci di ogni tipo, si prende in carico il compito di fare chiarezza, smascherando gli illeciti manovrati ai livelli più alti del potere politico. Il più delle volte mettendo a repentaglio la propria carriera, ritrovandosi emarginato, espulso come si confà a un elemento non desiderato.
Daniel J. Jones (Adam Driver), un giovane portaborse spinto da buoni propositi, riceve dalla senatrice Dianne Feinstein (Annette Bening) l’incarico di indagare sul programma di detenzione e interrogatorio promosso dalla Cia a seguito dei drammatici eventi dell’11 settembre 2001.
Daniel prende la questione sul serio, addentrandosi in documenti esplosivi. Più si avvicina alla verità, più i bastoni tra le ruote aumentano, tra minacce e l’erosione dell’organico a sua disposizione.
Tutto rema contro, il buon senso farebbe demordere chicchessia ma non lui, disposto a qualsiasi sacrificio pur di portare alla luce dell’opinione pubblica la verità.
The report è un film d’inchiesta tutto d’un pezzo, degna raffigurazione di una magnifica ossessione: la conquista della verità.
Per quanto riguarda gli intenti, il regista/sceneggiatore/produttore Scott Z. Burns è encomiabile. Segue fedelmente una (sfiancante) processione di date, va diretto nel cuore del problema, fin da subito all’offensiva.
Così facendo, rimane sempre alle calcagna di Daniel J.Jones, un uomo che ha sacrificato tutto sull’altare della giustizia, perdendo il sonno e ogni parvenza di vita sociale. Un uomo che si è rimboccato le maniche, ha creduto ciecamente nella missione assegnatagli, ricostruendo un puzzle intricato in anni di duro lavoro, con sempre meno supporti disposizione e un numero crescente di nemici.
Questa ricostruzione è meticolosa, caccia il naso nel dietro le quinte, scartabella le infinite procedure architettate dalla burocrazia per non far arrivare al dunque, così come l’ostinazione di un uomo mosso da un decalogo morale inappuntabile.
Una riproduzione diligente, che pone quesiti inequivocabili (da una parte e dall’altra, fino a che punto è lecito spingersi?), una partita a scacchi analitica, che toglie le forze, integra oltre ogni qualsivoglia fruizione cinematografica, con la cadenza scandita/frastagliata da un susseguirsi incessante di salti temporali (a un certo punto ridondanti, non sempre indispensabili).
Una configurazione che non agevola la concentrazione, un assetto inflessibile che in altri tempi (Alan J. Pakula insegna) e in altre mani (Steven Soderbergh, qui produttore) avrebbe trovato una sintesi meno svilente per la forma di comunicazione che utilizza.
Intransigente, al punto di perdere di vista la piena valorizzazione dello strumento (il cinema).
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