Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Gennaio, 1895. Nel cortile dell’Ecole Militaire di Parigi un ufficiale dell’esercito francese, Georges Picquard, assiste insieme a molti commilitoni alla pubblica condanna e all’umiliante degradazione del Capitano Alfred Dreyfus accusato di essere un informatore dell’esercito tedesco a cui segue, come condanna, l’esilio e il confino nella Guyana francese, sull’Isola del Diavolo.
A caso archiviato, lo stesso Picquard viene promosso a capo della Sezione di Statistica del controspionaggio militare, lo stesso che aveva raccolto le accuse contro Dreyfus, ed è qui che si accorge che il responsabile del passaggio di informazioni al nemico non è ancora stato trovato e, quindi, della possibile innocenza di Dreyfus.
Ed e quì, in un sorprendente campo lungo sul cortile dell’Ecole che verrà nel proseguo del film sostituito dalle plumbee stanze dell’amministrazione militari, che si apre il ventitreesimo film del grande regista francese, tratto dal romanzo omonimo del 2013 di Richard Harris, da anni suo stretto collaboratore e sceneggiatore insieme al regista della pellicola, e che raccoglie molto della summa della poetica polanskiana.
Verità e falsità, potere e corruzione, inchiesta e processi.
D’altronde la Francia dell’epoca si prestava enormemente a una storia del genere, a incominciare proprio da un antisemitismo (anche se forse sarebbe meglio dire antiebraismo) diffuso in ogni settore del paese, non escluso quello militare (anche se, nell’Affare Dreyfuse, questa aggravante fu in realtà molto meno importante di quanto raccontato successivamente).
Non dimentichiamoci che l’illuminato (e laico) Voltaire, che tra l’altro divenne ricco grazie alla tratta degli schiavi dall’Africa, scrisse nel suo Dizionario filosofico che “l’ebreo è il più abominevole popolo al mondo”, in un paese che vedeva nel Ministro della Guerra (Mercier) un repubblicano progressista, un massone come presidente del Consiglio (Dupuy) e il Presidente della Repubblica (Laumbert) propugnare leggi anticlericali come l’espropriazione, nel nome della laica Francia, del beni della Chiesa Cattolica (chiese comprese) e con la soppressione degli ordini religiosi che portarono alla dimissione di centinaia di cattolici dall’amministrazione pubblica e/o dall’esercito, costituito principalmente da una casta militare nazionalista e bonapartista (la stessa che, diversi anni più tardi, portarono con la loro incapacità al massacro della Battaglia delle Somme).
La condanna di Dreyfus fu principalmente causata dal Mag. Henry e dall’allora capo del controspionaggio che tra i diversi profili (sbagliati) individuati come la possibile spia scelsero quello di Dreyfus, ma non perché ebreo ma perché la sua scrittura era la più somigliante, per quanto vagamente, a quella del borderau incriminante e che, in seguito però alla mancanza di prove più concrete, si assicurarono di redigere falsi documenti per assicurarne la condanna.
Che poi la stampa insistì soprattutto sul fatto che Dreyfuss fosse ebreo non è imputabile alla sentenza in sé in quanto nella loro cialtroneria erano davvero convinti che fosse lui la spia.
Il vero complotto si ebbe soltanto più tardi, quando Picquard trovò il vero colpevole e quindi anche le prove che scagionavano Dreyfus dalle accuse.
Fu a questo punto che Henry, per proteggere se stesso, e lo Stato Maggiore, per evitare lo scandalo che ne sarebbe seguito e che avrebbe potuto portare, presumibilmente, alla fine delle loro carriere, decisero pur di non rivelare l’errore commesso di coprire il vero colpevole, macchiandosi in questo modo dello stesso reato (tradimento) di cui avevano incolpato Dreyfus.
Con la pubblicazione del J’Accuse di Zolà e l’esposizione all’opinione pubblica di questi fatti si crearono poi diversi fronti nell’opinione pubblica: da una parte quello progressista che cercò di trasformare l’errore giudiziario in un complotto reazionario dei militari e dell’establishment al potere e dall’altra un fronte nazionalista che per gli stessi motivi temeva un complotto di ebrei e massoni contro l’esercito con l’intento di favorire, nel peggiore dei casi, una possibile invasione straniera.
E pur non eccedendo in sensazionalismi o in facili retoriche, le scene di un popolo che si abbandona a vandalismi e a isterismi di massa, e che anticipano quello che succederà un trentennio più tardi soprattutto in Germania, non sono che un richiamo a un antisemitismo diffuso non solo in Francia ma in tutta Europa e che si muove,incontrastato sullo sfondo ma comunque ben presente in ogni ambiente, militare e civile, e a inquietare é soprattutto per come appare del tutto “normale”, quasi “ragionevole” nelle sue istanze, per quanto è radicato profondamente nella società.
Tra i mille modi diversi di raccontare questa storia, dall’action al thriller a questioni di dialettica o di prova meditativa o allegorica, Roman Polansky, egregiamente assistito al solito dal direttore della fotografia Pawel Edelman, ne fa invece una questione di carteggi e bigliettini, tutti maniacalmente esposti, inquadrati e studiati come a comprovare (o eventualmente a invalidarne) ogni prova, ogni momento, ogni passaggio con grande attenzione ad ogni dettaglio e gestendo ogni sotto trama (l’unica che appare forzata e quindi abbastanza inutile è quella della storia d’amore di Picquard con la Pauline di Emmanuelle Seigner) e l’accumulo di personaggi con grande abilità e senza che questo ne pregiudichi la scorrevolezza.
Polanski si mantiene rigorosamente fedele alla vicenda con un’impressionante ricostruzione storica e una messa in scena della società dell’epoca minuziosa, accuratissimo ma elegante anche nell’eccellente rappresentazione sia dell’ambiente ministeriale che di quello militare francese, improntato alla più ferrea disciplina, e al contempo ne descrive i fatti attraverso una narrazione sempre scorrevole e incisiva, attento anche alle sfumature di una società che si professa democratica e repubblicana.
Nel raccontare l’affare Dreyfus il regista polacco rielabora le sue più personalissime ossessioni imponendo contemporaneamente al pubblico un atto d’accusa nei confronti dei nuovi maccartismi e alle nuova caccia alle streghe ed è interessato soprattutto a far emergere lo scontro tra la Ragion di Stato e la verità in una riflessione tra la realtà e la sua manipolazione, tra i fatti e le fake news costruite a tavolino.
Protagonisti del film un bravissimo Jean Dujardin, vincitore dell’Oscar nel 2012 per The Artist , nel ruolo di Picquard, misurato e risolutissimo ufficiale che contiene il proprio fare gigionesco per presenziare invece l’onesta verso la divisa come anche l’incorruttibilità morale e di spirito del proprio popolo, insieme a molti interpreti della Comédie Francaise, tutti ben diretti da Polanski, tra cui Louis Garrel, Grégory Gadebois, Didier Sandre, Mathieu Almaric e Alain Goldman.
VOTO: 8
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