Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Polanski, a 86 anni, non smette di fare Cinema, con la ci maiuscola. Se la settima arte si sta affossando con super eroi, digitale e la piattezza televisiva dello streaming, maestri come Roman rimangono in trincea e danno (o dovrebbero dare) l'esempio, Polanski torna a raccontare una storia e lo fa con un film classico, quasi spielberghiano, di grande forza morale, raccontando del famoso "affare Dreyfus", ebreo d'alto rango dell'esercito francese, ingiustamente accusato di tradimento dai vertici dello stesso, profondamente corrotti e antisemiti. Una storia di fine oottocento e che farà da triste prologo agli avvenimenti drammatici del novecento. Polanski ne trae un film lungo, oltre due ore, imperniato sulla figura di un francese "giusto", il maggiore Picquart (un ottimo Dujardin), che sacrificherà parte della sua vita e della sua carriera militare per fare giustizia. Un racconto che è grande Cinema, asciutto ed essenziale, che cattura lentamente, un po' thriller e un po' "legal movie", nella parte finale dei processi, illuminato da una ricostruzione storica puntigliosa ed efficace. L' "affare Dreyfus" rimane, anche a distanza di un secolo e più, un vulnus fondamentale per comprendere l'evoluzione dell'antisemitismo, prima, e del razzismo tout court, dopo, e il regista polacco non poteva che consegnarci un film giusto e necessario, anche per gli anni a venire. Molto bello.
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