Regia di Roman Polanski vedi scheda film
In concorso a Venezia 76, giunge in Italia una magnifica lezione di cinema e di Storia: J'accuse, film fervido e realistico, coinvolgente e necessario, scuote le coscienze di noi spettatori interrogandoci sui principi morali della nostra epoca. A conti fatti, risulta essere il miglior film di Polanski degli ultimi 15 anni. Voto 8,5
“Quando una società arriva a tanto, cade in decomposizione” (Georges Picquart). Fra le tante memorabili frasi che offre la rigorosissima sceneggiatura scritta da Robert Harris, questa è una di quelle che meglio racchiude in sé il senso dell’ultimo, magistrale lavoro di Roman Polanski. Il regista polacco, alla veneranda età di 86 anni, non sembra perdere un minimo della sua maestria registica nella riproposizione in chiave classica del suo cinema, utilizzando la Storia come potente strumento di analisi socio-politica al fine di raccontare, ancor prima che le vicende del militare ebreo, la strenua lotta portata avanti dall’ufficiale dell’esercito Georges Picquart, uomo dagli imprescindibili principi etici e morali che, nonostante abbia dei pregiudizi nei confronti degli ebrei, riesce ad andare oltre le proprie convinzioni in nome della giustizia e della verità. Ma una volta smascherato l’errore, l’uomo si troverà di fronte a un muro apparentemente invalicabile, quello di un sistema omertoso e corrotto che, pur di non rivelare pubblicamente i propri nefasti crimini, imbastisce un gigantesco meccanismo di inganni e falsificazioni affinché la scomoda verità non leda la propria reputazione. E’ proprio in quegli uffici bui e angusti, pieni di mobili scricchiolanti e scartoffie di ogni genere, che Polanski ci immerge nella prima parte del film, mostrandoci, con una perizia tecnica strabiliante, il luogo dove si consumerà “una delle peggiori iniquità del secolo” (Emile Zola). Grazie a un cast in stato di grazia e attraverso una messa in scena sontuosa, Polanski fotografa, con lo sguardo penetrante di un osservatore nato, una Francia marcia fino al midollo, afflitta dal letale virus dell’antisemitismo radicato all’interno della società d’inizio secolo, che troverà poi terreno fertile per la propria diffusione nella Germania Nazista degli anni ‘40. Ma nonostante il regista, in quanto ebreo, voglia sottolineare che il caso Dreyfus altro non è che una scintilla da cui poi scoppierà un incendio devastante, è troppo intelligente per ridurre tutto il film a un esercizio vittimista e autoreferenziale. Piuttosto preferisce impartire una magnifica lezione di cinema e di Storia, lanciando due messaggi di grande importanza che fungono da moniti preziosi per l’analisi del nostro presente. Il primo, ricordare sempre che la Storia è maestra di vita, e che tende ciclicamente a ripetersi. Il secondo, non fermarsi mai in superficie e indagare sempre circa l’attendibilità delle notizie che ci giungono, soprattutto oggigiorno che, a causa dei mezzi di comunicazione di massa, la realtà può essere facilmente manipolabile. Lontano dal realismo psicologico di Repulsione e dalle atmosfere ambigue di Rosemary's Baby, L'ufficiale e la spia è un film fervido e realistico, coinvolgente e necessario, che scuote le coscienze di noi spettatori riguardo ai principi morali della nostra epoca. A conti fatti, isulta essere (insieme a Carnage) il miglior film di Polanski degli ultimi quindici anni.
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