Un fotografo francese arriva in Giappone con l’intenzione di fare una serie di scatti su luoghi desolati, con cui poi allestire la sua prossima mostra. Dopo la morte della moglie, avvenuta qualche anno prima, soffre di sporadiche allucinazioni che lo portano a sentire cose che apparentemente non esistono. Mentre vaga da un luogo abbandonato all’altro, conosce per caso una ragazza giapponese simpatica e carina, che deciderà di accompagnarlo nelle sue ricerche, prestandosi anche di sovente a farsi fotografare.
Mondo dei sogni è un film dalle atmosfere rarefatte che, per certi versi e con le dovute differenze, può ricordare Lost in Translation, il capolavoro di Sofia Coppola ambientato anch’esso in Giappone. Il fotografo è un uomo solo, che porta molti dolori sul volto, e che non a caso decide di ritrarre dei luoghi abbandonati che paiono essere la rappresentazione esterna del proprio stato interiore. Gran parte del film non è altro che questo, il vagare del protagonista, inframmezzato da qualche scambio di battute con i contatti lavorativi che egli ha nel paese straniero. L’incontro con la bella giapponese sembra rappresentare una svolta.
Mentre le allucinazioni del protagonista si accavallano, ma nella sua vita appare forse la prospettiva di un nuovo amore e di un futuro diverso, l’aspetto dei posti desolati che egli fotografa sembra indice di una condizione esistenziale dove la gioia e la voce palpitante del mondo non riescono a farsi spazio. Quanto di quello che percepiamo è reale? Quanto è frutto della nostra mente, delle nostre paure e delle nostre illusioni? Mondo dei sogniè un film dal retrogusto filosofico che fa della propria voce sommessa una scelta stilistica precisa, che non si svela mai completamente ma, con il colpo di scena finale, lascia di stucco.
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