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Rambo: Last Blood

Regia di Adrian Grunberg vedi scheda film

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La recensione su Rambo: Last Blood

di Furetto60
2 stelle

Ennesimo e inutile capitolo di una saga che non ha più niente da dire.Tanta e inutile violenza

Undici anni dopo gli eventi in Birmania, il famoso veterano della guerra del Vietnam John Rambo, si è ritirato in una tranquilla fattoria dell’Arizona, trotterella come cowboy a cavallo e intanto giusto per non dimenticare i traumi del passato, pulisce fucili, prepara  coltelli e trappole medioevali, in un intricato labirinto di tunnel sotterranei, scavati sotto la fattoria presso il ranch ereditato dal padreche gestisce con la domestica e amica Maria e con la nipote Gabrielle, entrambe di origini messicane. Il film si apre con u gesto eroico e  in solitaria del nostro, che a cavallo sfida la tempesta per provare a salvare un terzetto di escursionisti persi nel buio del bosco. Le autorità ringraziano, anche se l’intervento non riesce del tutto.Su un’imbeccata di un’amica ambigua, molto g-rap, la tenera Gabrielle si mette sulle tracce del suo padre biologico e malgrado i tentativi dissuasori di Rambo e Maria, si reca in Messico, dove effettivamente incontra e conosce il padre, che però è un individuo abbietto, che non vuole saperne niente di lei. Gizelle accompagna,la sconsolata Gabriele in un club locale, dove di fatto la vende a loschi figuri di un cartello messicano, che prima la drogano e poi la rapiscono, per farne una squallida meretrice al loro servizio. Al che John Rambo si ritrova costretto a rispolverare “gli attrezzi del mestiere” e a partire per una pericolosissima missione in territorio messicano, sfidando i crudeli membri di una banda dedita al lucroso  e spregiudicato businesses, legato a un grosso giro di prostituzione, una vera e propria tratta di schiave sessuali, capitanata da due fratelli sociopatici e sadici. Adrian dirige un “revenge movie” all’insegna dello splatter e slasher più estremo. La trama è semplice e banale. Rambo è invincibile, ma è anche un ingenuo che prima le prende e poi finalmente si vendica. John, viene sfregiato e pestato a sangue, poi soccorso da una giornalista d’inchiesta, si rimette in sesto ,riesce a ritrovare la ragazza, che però è stata ridotta in fin di vita. Inutile dire che la vendetta è un piatto che si serve freddo e trova teatro ideale, tra quei tunnel sotterranei sotto la fattoria che diventeranno il suo campo di battaglia, disseminato sapientemente di trappole di ogni tipo, dove lui attende l’esercito di malviventi, dopo aver prudentemente allontanato Maria. Chiunque voglia cercare nel film di Grunberg dimensioni politiche o psicologiche, prende una grande cantonata, la storia vive di un’inerzia legata agli atti violenti in sé, a questa esibizione del male inflitto ai cattivi, che nel primo Rambo era istintiva, furiosa ma funzionale alla sopravvivenza di un emarginato, qui, invece anche se con uno Stallone in gran forma, nonostante i suoi settantatré anni, l’azione violenta è fine a se stessa, piegata ai modi truculenti della vendetta. Ormai, l’icona originaria del marines con stress post traumatico, non c’entra con questa storia personale, tanto che l’autore del libro da cui è tratta la saga, David Morrell, ha affermato pubblicamente di aver “provato imbarazzo” nel vedere questo film. “Rambo Last Blood” è sostanzialmente inguardabile. La parte migliore, o per meglio dire la meno peggio, è il prologo a tinte western, in cui si preparano gli sviluppi della storia. Quello che succede dopo è solo una truculenta carneficina, esibita con voyeuristico gusto dell’orrido, La scrittura è inesistente e manca anche quel pizzico d’ironia, che sarebbe stato ingrediente opportuno, per non prendersi troppo sul serio, invece la seriosità della trama, lo allontana dai suoi parenti alla Equalizer o Taken. Lì la violenza era spettacolare  e in qualche modo sopportabile e funzionava, anche se  come puro intrattenimento. Quella di John Rambo, invece, non ha niente di catartico e non è mai stata così esplicita e ripugnante. Gli scopi commerciali del film sono evidenti Sly sfrutta per l’ennesima volta “un brand” di gran successo e non si sforza minimamente di inventare qualcosa di nuovo.

 

 

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