Regia di Adrian Grunberg vedi scheda film
Non svegliare il can che dorme è un proverbio che andrebbe tenuto bene a mente, per quanto presenti delle incognite interpretative. Infatti, non è automatico associare a un individuo dimesso una possibile fonte di problemi. Tanto meno lo è quando ci si sente invincibili, al punto da comportarsi con un totale disprezzo nei confronti della vita, convinti di poter risolvere ogni contenzioso attraverso l’uso della forza bruta.
Fortunatamente, c’è ancora chi è disposto a tutto, anche a immolarsi, quando un suo affetto è in pericolo. Chi come John Rambo in Rambo: Last blood ha vissuto in disparte per tanto tempo preparandosi al peggio, consapevole che un nemico avrebbe bussato alla sua porta.
Da anni John Rambo (Sylvester Stallone) vive in una tenuta di campagna, insieme alla governante (Adriana Barraza) e all’adolescente Gabrielle (Yvette Monreal), che tratta come se fosse sua figlia.
Quando quest’ultima scappa in Messico per conoscere suo padre e finisce nelle mani di un gruppo malavitoso dedito alla prostituzione, John entra in azione.
Grazie anche al supporto di Carmen Delgado (Paz Vega), una giornalista freelance, fronteggerà i temuti fratelli Martinez (Sergio Peris-Mencheta e Oscar Jaenada), in una battaglia all’ultimo sangue.
Giunta al quinto capitolo, la saga che, insieme a quella di Rocky, ha contribuito a costruire l’icona di Sylvester Stallone, non può che mettere a confronto il suo eroe con i tempi che stiamo vivendo, sempre più lontani dal rispetto dei valori elementari, per cui un’amica può tradirti e rovinarti la vita per un tornaconto economico.
L’importanza del film risiede tutta in un passato che sta irrimediabilmente per abbandonarci. Così, anche gli ultimi scampati dall’ecatombe del Vietnam hanno ancora un’occasione per fare giustizia, per placcare - in un crescendo di martellate, coltellate e infine fucilate - chi si aggira al di sopra della legge con un’indicibile spavalderia.
Un’azione purtroppo impaginata malamente da una sceneggiatura da mani nei capelli, contraddistinta da macroblocchi di scene madri unite da legacci sbrigativi, qualora non del tutto assenti, e da un’infornata senza ritegno di luoghi comuni, scanditi dalla peggior enfasi immaginabile.
Una configurazione obsoleta, tagliata con l’accetta, sulla quale si adagia il regista Adrian Grunberg, che già aveva compiuto un’operazione simile al servizio di Mel Gibson in Viaggio in Paradiso. Quindi la lunga fase preparatoria, la classica quiete prima della tempesta, è una palla al piede, l’estremo pudore utilizzato nella descrizione dell’ambiente della prostituzione è deleterio, mentre lo sterminio finale arriva secco e brutale, regalando ai titoli di coda una toccante finestra remember sull'intera saga di Rambo.
Insomma, soprassedere sugli evidenti svarioni di Rambo – Last blood è veramente faticoso, eppure il film è giustamente fuori moda e funziona come metafora di un ineluttabile deterioramento sociale, che non fa prigionieri e non intende scendere ad alcun patto, per un film dai modi spicci e rozzi, pieno di controindicazioni, anche esiziali, ma difficile da bocciare a cuor leggero.
In fondo, c’è più che mai bisogno di uomini sempre sul chi va là, pronti a battagliare in difesa dei più deboli, quelli di cui nessuno pare sentire la mancanza.
Sotto una coltre spessa di disposizioni grossolane, c’è ancora un ultimo sussulto di vita.
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