Regia di Ken Loach vedi scheda film
Erano più di dieci anni, almeno da "Il mio amico Eric", comunque non trascendentale, che non vedevo un bel film di Ken The Red. Anzi, un grande film. Loach fa centro riuscendo ad equilibrare molto bene la critica sociale, del mondo del lavoro, con l'aspetto umano, con la vita reale delle persone. Ultimamente non gli veniva bene, c'era sempre qualcosa di didascalico, di artefatto. Non avevo empatia con i personaggi. Qui, al contrario, ne ho avuta fin troppa, e mi sono trovato a commuovermi spesso, a "sentire" il peso di una vita assurda, a cui troppi, oggi, sono costretti. Lavori pagati a cottimo, a pezzo, a ore, dove per realizzare quattro soldi devi lavorare anche quattordici ore al giorno, senza mai sgarrare, senza mai uscire da un recinto ben preciso: uno sfruttamento calcolato e cinico. Oltre a parlare di logistica privata e servizi sociali privati, mostrandone la faccia nascosta, Loach ci racconta in maniera perfetta di come una famiglia solida e fondata su principi etici importanti, venga erosa dalle fondamenta, causa orari di lavoro impossibili e inumani, implodendo lentamente ma inesorabilmente. È questo il fulcro di quest'ultimo film del regista inglese: il lavoro che oggi costringe molti strati della popolazione a ritmi folli, producendo ricchezza per pochi e desolazione sociale per molti. Un quadro drammatico, che gli attori, bravissimi, tratteggiano alla perfezione, non cadendo mai nel patetico. Un film che fa male, molto male, come negli episodi migliori di Ken The Red. Indispensabile per capire dove stiamo andando.
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