Regia di Ken Loach vedi scheda film
In terra veneta quando un tizio va via per la sua strada senza fare sconti viene apostrofato dicendo che "non l'è par gniente molesin". Credo che l'epiteto si adatti a pennello all'ottuagenario Ken Loach. Non è morbido il regista britannico, anzi di una severità draconiana in questa nuova crociata contro il capitalismo che sta sgretolando la società britannica colpendola dall'interno, da quella cellula che, malata, causa danni seri all'intero tessuto sociale. Ken Loach sembra più interessato alla famiglia che al lavoro, elemento fondamentale per la sua stessa sussistenza e nobilitazione. Gli effetti del lavoro si ripercuotono, infatti, sulla serenità del nucleo familiare senza metterne in discussione l'integrità ma causando problemi che finiscono per svalutarne l'immagine esterna. Non ci sono, dunque, picchetti, scioperi, disoccupati in cerca di un sussidio in questo "Sorry, we missed you" ma fin da subito, dal momento in cui Ricky acquista il furgone attorno al quale ruoterà la sua nuova attività di corriere, è palese che le cose non andranno bene. Loach non sarebbe l'inossidabile militante cantore della working class se tutto andasse per il meglio. Quello che stupisce è il fatto che il regista metta in scena l'eccesso di lavoro anziché la mancanza dello stesso. Ricky lavora 12/14 ore al giorno per consegnare i pacchi assegnati dal magazzino di smistamento, formalmente come imprenditore di se stesso. In realtà è schiavo del traffico, del numero esorbitante di consegne, di una bottiglietta di plastica e delle numerose sanzioni che gli vengono comminate per i ritardi accumulati o per le assenze non programmate dovute a qualche imprevisto. Le più subdole sono quelle appioppate per insignificanti ritardi nella consegna che penalizzano troppo il corriere per un disservizio che probabilmente nemmeno viene vissuto dal cliente.
La moglie di Ricky, Debbie, è nella stessa barca o per meglio dire "nello stesso furgone" visto che passa fuori casa lo stesso numero di ore del marito dal momento che la sua auto è finita nel fondo per acquistare il mezzo per l'attività di lui. Anche Debbie, una scrupolosa operatrice sociale, costretta a muoversi con i mezzi pubblici, lavora con turni massacranti e con straordinari forfetizzati, e non se la sente di abbandonare anziani soli alla mercé di contrattempi e bisogni improrogabili, anche quando potrebbe starsene a casa con i figli. Il risultato è una coppia che crolla esausta sul divano al rientro a casa senza aver toccato cibo e con la figlia più piccola già a letto. I figli, il maschio adolescente e la bambina, subiscono i contraccolpi dell'assenza dei genitori e dell'infinita stanchezza che non aiuta a stemperare le tensioni causate dai comportamenti, non sempre irreprensibili, dei ragazzi.
L'occhio di Loach focalizza i rapporti parentali tuttavia il regista non si scorda di consolidare la sua missione di denuncia all'interno del mondo del lavoro. Che siano corrieri dei giganti dell'e-commerce od operatori sanitari, le paghe sono basse, gli straordinari non vengono pagati, la sicurezza è scarsa, il lavoro è massacrante e toglie spazio all'accudimento della prole. Ed il risultato a cui si perviene è lo scontro generazionale tre genitori e figli che non riescono a comunicare e se lo fanno è tramite quei device che indubbiamente semplificano la vita rendendola però sempre più virtuale e sempre più legata ad un'efficienza che richiama livelli sempre più insostenibili di efficacia che richiedono tecnologie sempre più performanti ed alienanti. Un cane che si morde la coda. Non c'è scampo dunque per Ken Loach la cui frustrazione sfocia lapalissiana dalla bocca del giovane Seb, nella scena più amara del film, in cui il ragazzo rinfaccia al padre i fallimenti economici che sono quelli di una classe di lavoratori che non è riuscita, nonostante e per colpa del neoliberismo, a trasformarsi in middle class, acquisendo gli oggetti simbolo della classe di mezzo come la macchina e la casa di proprietà.
Nonostante le ossa rotte, sia fisicamente che moralmente, non c'è spazio per le recriminazioni perché in un mondo che corre sempre più velocemente sembra che nessuno abbia il diritto di fermarsi. Dolorante e disperato Ricky chiude dietro sé lo sportello della propria prigione su ruote, senza ora d'aria, e accende il motore nella speranza di ripianare il debito e riconquistare l'orgoglio perduto anche se questo significa infilare metaforicamente sotto lo porta di casa propria quel dannato bigliettino "Sorry, we missed you" che suona tanto da "spiacenti, ci manchi tanto". Un'invocazione amara che i figli lanciano al padre costretto a guidare e faticare, conscio di perdere l'età migliore dei figli per mandare avanti la baracca. Per andare avanti a Ricky resta quel bellissimo ricordo del sabato passato con la figlia a consegnare pacchi, ridere e scherzare nel furgone. Il ricordo della serenità famigliare è il carburante che spinge avanti il motore ammaccato del povero Ricky. Quella scena con padre e figlia impegnati a consegnare merce e poi a consumare un panino frugale mi ha ricordato con infinita nostalgia la mia infanzia quando mio papà, che a fine anni settanta cambiava spesso lavoro a causa della crisi economica, finì per fare il posatore di piastrelle. Non mancava di portarmi con sé come la volta in cui finimmo in un capannone in costruzione. Lui lavorava ed io lo guardavo, giocando con le mie macchinine sui camminamenti di un castello fatto di sacchi di calce e cemento, in attesa che si aprisse il ponte levatoio e il mio cavaliere mi allungasse le braccia e mi dicesse "andiamo a casa bimbo". Altri tempi...
Cinemalcastello - Castello di Romeo - Montecchio Maggiore (VI)
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