Regia di Ken Loach vedi scheda film
Cinéma Vérité all'ennesima potenza, uno sguardo lucido, pedagogico e realista su un nucleo famigliare della working class impoverita dalle élites conservatrici del Regno Unito dopo decenni di tagli al Welfare State. Ken Loach confeziona un'opera magistrale e spietata contro il neoliberismo rampante facendoci riflettere sulla nostra contemporaneità.
Attratto dalla tematica affrontata nel film sulla critica al precariato del XXI secolo e dunque dello sfruttamento del lavoratore contemporaneo nella gig economy, ho scoperto con grande sorpresa che il regista dietro alla macchina da presa è proprio Ken Loach.
Il famoso cineasta britannico è riconosciuto internazionalmente nell’aver creato una nuova corrente di docu-film attenta ai mutamenti politico sociali della nostra società, soprattutto quella del Regno Unito, che ormai tratta da più di settant’anni.
Politicamente schierato nella sinistra radicale e dunque un socialista estremamente critico nei confronti della sempre più diseguale società d’oggigiorno imperniata ormai sul neoliberismo rampante, decide attraverso il suo Cinema Verité di raccontare la vita del sottoproletariato inglese, senza peli sulla lingua e banali retoriche.
La trama si concentra sulla vita di una famiglia sottoproletaria di Newcastle composta dal padre Ricky Turner, dalla madre Abbie Turner, dal figlio grande Sebastian e infine dalla figlia piccola Liza. I genitori dopo aver perso la loro prima casa, il loro mutuo e i loro lavori stabili a seguito della crisi finanziaria del 2008, si sono dovuti stabilire in una piccola casa in affitto facendo i più umili e disparati lavori per avere un tetto sopra la loro testa e mantenere i propri figli.
Un giorno Ricky decide di mettersi in proprio come corriere freelance per una grossa ditta di consegne a domicilio, in modo da garantire maggiori entrate per la famiglia. Il nuovo lavoro però, comporta dei sacrifici prima di tutto economici visto che per evitare di accumulare altri debiti, Ricky convince sua moglie a vendere la sua auto per potersi comprare un furgone tutto suo. Il problema però, è che Abbie utilizza la sua macchina per raggiungere tutti i suoi clienti in giro per Newcastle, essendo una badante con una tabella di marcia abbastanza serrata. Rassegnata e fidandosi di suo marito, decide di compiere i suoi lunghi viaggi in autobus, iniziando il suo lavoro dalle 6:30 e finendo alle 21:30.
Il padre non è da meno, infatti scopre che il suo lavoro da corriere freelance gli costa più di 10 ore di viaggio in quanto viene pagato per pacco consegnato. Il tempo è dunque denaro e le pause per urinare sono dunque ridotte all’osso, tant’è che un suo collega scherzosamente gli regala una bottiglietta vuota dicendogli che d’ora in poi potrà urinare lì dentro.
Il ritmo massacrante dei due genitori e lo sfruttamento disumano che subiscono sul luogo di lavoro influisce negativamente sui figli, che costretti a diventare sempre più indipendenti, soffrono l’assenza dei propri genitori, sfogando le proprie frustrazioni in modi differenti, ma che inevitabilmente incidono ulteriormente sul malessere psicologico della famiglia, creando di fatto un circolo vizioso senza fine.
Sono pochi i film che mi commuovono e che mi toccano nel profondo, ma Ken Loach con Sorry We Missed You mi ha fatto veramente stare male non tanto perché preme i classici pulsanti della retorica per far piangere le persone, ma per la sua incredibile delicatezza nel fotografare una realtà precaria che spesso viene oscurata anche dai film considerati più “d’autore”.
La regia asciutta quasi documentaristica composta da inquadrature ferme e da leggeri movimenti di macchina, è funzionale alla grande messa in scena socialista del regista britannico, che lavorando in sottrazione riesce ad enfatizzare ancor meglio le interpretazioni dei suoi personaggi che chiaramente riconducono a persone comuni.
Il realismo di Ken Loach dona quindi forza drammaturgica alla pellicola che non esita a mostrare con la sua cinematografia da Cinema Verité, la vita quotidiana del sottoproletario alle stregue con le condizioni lavorative disumane a cui sono sottoposti.
Il caso più eclatante è quello di Ricky Turner, che deve sobbarcarsi il peso maggiore per mantenere la propria famiglia e che pur di aumentare un minimo il proprio reddito cede alle mansioni più remunerative, sacrificando il tempo con la sua famiglia e la sua stessa salute psicofisica. Un logica del profitto che inquina e aliena lo stesso lavoratore della new economy, che per mantenere stabili o aumentare statistiche algoritmiche che determinano il prestigio e la sete di guadagno dell’azienda, cede al ricatto indiretto del datore di lavoro per non perdere il proprio ruolo all’interno dell’impresa.
La mancanza di garanzie sindacali e l’estrema liquidità delle assunzioni della grande società di trasporti, non cede un singolo diritto di assistenza e flessibilità al lavoratore in caso di infortuni e per assenze di causa di forza maggiore. La bieca e brutale importanza del numero alimentata dalla totale accondiscendenza dai bisogni dei propri clienti, è il pilastro su cui la gig e la new economy fondano il proprio benessere, dove i vari corrieri che lavorano strenuamente ogni giorno sono soltanto numeri e pedine sacrificabili per un disegno più grande ovvero il successo del marchio e del prestigio aziendale.
La ferocia e il darwinismo sociale perpetrato dal datore di lavoro di Ricky mostra come la gratitudine per il suo lavoro non sia nei riguardi della sua persona, ma soltanto ed unicamente di quanto consegna frequentemente ogni giorno all’ennesimo cliente voglioso di assaporare il bene acquistato online il giorno prima.
E’ la logica spietata del neoliberismo applicata perfettamente dalla teoria alla pratica, una scuola di pensiero che si affida unicamente agli andamenti del mercato, professandosi progressista grazie alle moderne tecnologie, e che Ken Loach critica aspramente soprattutto quando evidenzia ironicamente la totale devozione del capo di Ricky allo strumento elettronico che traccia tutte le fatturazioni dei corrieri.
La totale mancanza di empatia del datore di lavoro nei riguardi anche delle gravi ferite che Ricky subisce da dei criminali per strada che gli rubano dei pacchi, si riflette anche sulla degradante condizione lavorativa della moglie Abbie.
La povera donna oltre a viaggiare in autobus tutto il giorno, deve occuparsi come badante di tutti gli anziani e disabili abbandonati a loro stessi dai loro figli e genitori, che non solo richiedono grande tatto e un’estrema dose di pazienza, ma anche giornate extralavorative perché gli stessi tutori dei “reietti della società” non riescono o non vogliono accudire i propri cari.
L’egoismo e l’indifferenza della società di fronte ai lavori più umili denuda un altro tratto della sempre più crescente ondata edonista e individualista forgiata negli anni ‘80 e oggi più viva che mai, dove l’assistenzialismo e le politiche di Welfare sono ridotte all’osso in seguito a grandi privatizzazioni e alla proliferazione indisturbata del mercato finanziario.
E un’ulteriore conferma del dilagare della nuova post-ideologia ormai caratteristica del XXI secolo, la si ha in una scena dove tutta la famiglia insieme nel furgone accompagna il sabato sera la mamma Abbie ad aiutare un’anziana signora che non riesce ad andare in bagno da sola. Due giorni dopo però, il tracciamento del furgone per mano dell’azienda fa adirare il datore lavoro di Ricky, che gli ribadisce che il veicolo può soltanto utilizzarlo per le consegne e nient’altro.
I ritmi stressanti e la scarsa empatia per il prossimo, alienano e distruggono la salute psicofisica di Ricky e Abbie, che sono talmente sfruttati sul luogo di lavoro che non possono nemmeno concedersi il lusso di fare l’amore.
E il tempo con i figli? Come può un adulto prendersi il suo tempo per allevare ed accudire come si deve le proprie prole? Si vive per lavorare o si lavora per vivere? Come può una società così frenetica e piena di ingiustizie sociali permettere di allevare dei figli come si deve? Come si può compiere un gesto così altruista in una società fondata sul successo dell’individuo e la distruzione del nucleo familiare?
Il circolo vizioso della società ipercapitalista e liberista documentata da Ken Loach trova la sua chiusura finale proprio nelle anime e nelle fasce d’età più colpite dal cortocircuito di matrice capitalista ovvero i giovani, i figli, i millenials, le prole, che sono alla base della società e la futura locomotiva per qualsiasi forma statuale.
La disamina è spietata e razionale, infatti il cineasta britannico riesce perfettamente ad affondare nelle complessità della psiche delle nuove generazioni nonostante il grandissimo divario generazionale, perché l’universalità delle emozioni umane trascende le epoche storiche e accomuna tutta la specie umana di fronte alle disuguaglianze di un sistema e ai drammi di un nucleo familiare.
Il figlio maggiore Sebastian incarna chiaramente la frustrazione delle nuove generazioni di fronte al sempre più crescente precariato della middle class dei baby boombers, che obbligate ad inseguire uno standard di vita ipercompetitivo di successo tipico delle classi più agiate, si ritrovano disilluse nel momento in cui la realtà irrompe nella sfera domestica.
Le conseguenze sono ovviamente la distruzione di ogni tipo di aspettativa lavorativa e una disillusione che alimenta un pessimismo crescente che soffoca le potenzialità di un individuo.
Il dramma interiore di Seb è dunque il profilo psicologico di un figlio alienato in un sistema ingiusto che rigetta, portandolo a sfogare le sue frustrazioni marinando la scuola insieme ai suoi amici e a riempire di graffiti la città. La sua rabbia e l’assenza frequente dei suoi genitori non fa che alimentare le sue ambizioni libertarie, che lo portano ad assumere un carattere violento e controproducente per la stessa economia familiare, che ormai si ritrova sempre di più sul filo del rasoio. Lo scontro dialettico e fisico con i suoi genitori è il tassello fondamentale per comprendere definitivamente il circolo vizioso creato del capitalismo moderno privo di Welfare, che lacera il tessuto familiare promuovendo un sistema produttivo basato sul singolo consumatore e non sulla forza dei nuclei familiari.
I ritmi massacranti di Ricky e Abbie non consentono quindi un’adeguata presenza genitoriale sull’educazione dei figli, che li portano ad avere sempre meno autororevolezza su di loro, soprattutto nei confronti di Seb, dove quest’ultimo logorato dall’assenza del padre non lo vede più come un esempio, ma come un’autorità incapace di comprendere a fondo le complessità del suo stato d’animo.
La mancanza di comprensione reciproca tra genitori e figli segna definitivamente la frammentazione del nucleo familiare, che chiude tristemente il ciclo distruttivo del neoliberismo moderno, che esaspera il conflitto tra poveri favorendo il successo del singolo, in quanto slegato dalle dinamiche della collettività e facilmente integrabile agli ingranaggi del sistema.
Di fronte alla disamina spietata delle conseguenze endogene ed esogene della società moderna, Ken Loach non si dimentica però degli elementi fondamentali che contraddistinguono l’uomo dall’animale feroce: l’altruismo e l’empatia.
Le figure più speranzose che incarnano questi valori e che si distinguono dalla giungla urbana di Newcastle sono la figlia piccola Liza e un’anziana signora, dove entrambe essendo molto empatiche e mature nello scorgere la tristezza e il dolore degli altri comprimari della pellicola, mostrano come il candore, il dialogo, il supporto, la gioia, gli scherzi e la gentilezza siano le ricette fondamentali per empatizzare con il prossimo e aiutarlo a placare le sue sofferenze.
Incredibilmente toccante e straziante è la scena in cui Liza nasconde le chiavi del furgone di Ricky all’interno del suo orsacchiotto nel vano tentativo di riportare l’unità e la felicità di un tempo tra il padre, la madre e il fratello ormai in rotta di collisione. Uno sguardo innocente di una bambina su una realtà più complessa di lei, che non fa altro che elevare la drammaturgia e la sapiente psicanalisi pedagogica di Ken Loach, che mostra attraverso gli occhi di un’anima innocente il vorticoso tornado distruttivo della sempre più crescente frustrazione psicofisica della famiglia.
Come Claudio Caligari nel 2015 con Non essere Cattivo e come Bong Joon-ho nel 2019 con Parasite, Ken Loach conclude con Sorry We Missed You la trilogia sul proletariato del XXI Secolo, portando alla luce la verità che incombe sul nostro presente e che formerà il prossimo futuro. Accentuando la sua critica sul sistema collusivo e diseguale del neoliberismo alimentato dall’economista Milton Friedman e dai politici liberali a seguire, che cavalcando l’onda delle privatizzazioni e la finanziarizzazione del mercato, hanno provocato la precarizzazione della middle class con il conseguente disagio politico sociale contemporaneo.
Non è un caso che il cineasta britannico attraverso un’analisi intimista di un nucleo famigliare del Newcastle, rifletta in realtà su grandi macro tematiche che caratterizzano l’Occidente e soprattutto la sua terra natia, l’Inghilterra.
L’enorme frustrazione delle periferie inglesi di fronte alla globalizzazione neoliberista di matrice statunitense, ha portato al successo del voto sul Brexit, dove forze conservatrici e populiste hanno cavalcato egregiamente l’odio del sottoproletariato promettendogli di staccarsi dall’oneroso rapporto con la prepotente Unione Europea e di ritornare ai fasti del glorioso Impero Britannico.
Capri espiatori e banali demagogie frutto di un’efficace retorica del Partito Conservatore per ergersi a paladino del popolo, che ironicamente è stato fautore della stessa povertà che affligge le stesse masse che intende proteggere da crudeli nemici esterni.
Il punto di Ken Loach è dunque lampante nell’analisi sociopolitica ed antropologica della situazione britannica e ci pone dunque un quesito importante: siamo destinati a vivere per sempre in un mondo diseguale alimentato dalle stesse destre populiste che professano una falsa uguaglianza o è il momento di attuare serie riforme politico sociali guidate da una sinistra al servizio del popolo piuttosto che dei mercati?
Il Cinema non mobilita le masse, ma può far riflettere e ispirare i singoli individui ad elaborare delle risposte ed offrire della soluzioni. Ken Loach col suo Cinema essenzialista e minimalista da prova di saper sfruttare l’Arte per ultimare quest’ultimo discorso che forse un giorno troverà dibattiti internazionali.
Per ora la famiglia di Ricky Turner e milioni di altre famiglie continuano a vivere nella precarietà sotto il silenzio dei politici troppi occupati a curare la propria immagine e a legittimare il circolo vizioso ormai in atto da quarant’anni.
Osservando con piacere l’arrivo della prossima crisi economica mondiale. Posizionando in prima linea le prossime generazioni. Convinti che il fardello mondiale non intaccherà il loro patrimonio personale. E che i poveri continuino a lottare tra di loro in eterno.
Voto 9
PS: Il titolo “Sorry We Missed You” viene da un avviso lasciato dai corrieri quando non trovano l’acquirente in casa.
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